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Bianca come il latte, rossa come il sangue

Regia di Giacomo Campiotti vedi scheda film

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La recensione su Bianca come il latte, rossa come il sangue

di FilmTv Rivista
8 stelle

«Rosso come le cose che mi fai provare» cantano i Modà col consueto slancio da hit parade, e il sedicenne Leo sa rendere in parola - esile o incantevole, con o senza chitarra - quella melodica «forza del colore». Dalla penna lirica & lucida di Alessandro D’Avenia, vivificato dall’esuberanza fresca e scomposta di Filippo Scicchitano, Leo emerge dalla pagina corpo di tragicomica naturalezza. Ignaro che il bianco condensa un’intera tavolozza, lo abolisce dalla sua scala cromatico-immaginifica, associandolo a un vuoto che non fa rumore. La scuola è bianca, seppur quella che frequenta con scarsi risultati e sapida cialtroneria sia prevalentemente grigia, illuminata nell’intervallo dalla chioma fulva di Beatrice. L’amore è la scheggia da solleticare col dito ogni volta (uguale sempre) che l’esterno è avido di stimoli: il supplizio in cui crogiolarsi senza tempo, il sogno in cui riversare il tempo morto perché ritrovi un alito di vita. L’oggetto del suo desiderio è un desiderio senza riserve né complicazioni: «Ciao, semplicemente ciao» direbbero i Modà e dice lui, al buio di un Uci Cinemas dove proietta aspettative sproporzionate alla caducità di un saluto educato. Il suo amore è molto più precario di quanto può sapere: il bianco colora prepotentemente il sangue di Beatrice, che diventa pallida, debole, ammalata. Non è la solita storia dell’adolescente fancazzista redento dalla tragedia annunciata. O meglio, la canzone resta la stessa ma le parole sono importantissime. D’Avenia le conosce perché le ascolta con cura: affabulatore di giovani folle per passione poi per professione, lo scrittore bestseller è un prof 2.0 che t’immagini scendere dalla cattedra per tirare di boxe come “il Sognatore” Argentero. In versione cinematograficamente condensata (e sprovvista del soprannome didascalico ma sintomatico), il supplente illuminante mantiene la forza del cicerone pop: quando arrivano le ragazze la letteratura diventa il catarifrangente di aspirazioni e frustrazioni, quando le ragazze ci lasciano tirare un pugno al muro è il correlativo visivo del proverbiale saggio consiglio. Non gioca coi detti fatti, il film di Campiotti, seppur alcune frasi si possano stampare su carta per cioccolato. La bicromia del titolo è uno specchio per le allodole: dopo pochi minuti le sfumature saltano all’occhio allenato.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 14 del 2013

Autore: Chiara Bruno

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