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Bianca come il latte, rossa come il sangue

Regia di Giacomo Campiotti vedi scheda film

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La recensione su Bianca come il latte, rossa come il sangue

di scapigliato
8 stelle

Film emozionale. Facile toccare le corde più sensibili con una storia di amore, malattia e morte. Eppure Giacomo Campiotti, se riesce a commuovere, lo fa grazie alla sua bravura. Montaggio, sceneggiatura asciutta, direzione degli attori, tutto calibrato, misurato, curato in modo che il patos non sia un ricatto, ma una fisiologica risposta dell’evocazione.

Tratto dall’omonimo romanzo di D’Avenia, Bianca come il latte è una bella parabola vitae sull’adolescenza, lo sbocciare della passione ingovernabile, il conflitto con il mondo degli adulti, l’amicizia, il rapporto ambiguo con una figura più grande come il professore, e infine l’incontro con la morte, il lutto, la rabbia e l’amore. A fare la parte del “leone” è Filippo Scicchitano che non sbaglia un colpo. Attore fisico, anche in questo lavoro è fresco e diretto e senza intermediari restituisce al pubblico un personaggio vero, sincero, genuino e spontaneo. Dalla sua anche una fisicità e una bellezza che riempiono la scena e che danno il giusto peso a personaggi conflittuali e problematici che giustamente meritano una sana ribalta tutta per loro. La bellezza di Gaia Weiss invece, è tutta votata alla disarmazione, allo spellamento letterale del proprio raziocinio. La sua Beatrice di dantesca memoria e affinità è il motore narrativo che porta Scicchitano, e noi con lui, alla non-gestione dei propri sentimenti, divisi e alterati tra passione dura e pura e sentimento sincero e profondo. I due volti dell’infatuazione, cioè passione e sentimento, tra essi antitetici e complementari allo stesso tempo, rivivono spregiudicatamente nel personaggio del giovane inquieto.

Così come il resto del cast, tra macchiette e marginalità, completa il quadro di un film non propriamente leggero, ma nemmeno melodrammatico nel senso più ricattatorio del termine. Anche Aurora Ruffino e uno spassoso Flavio Insinna colpiscono il bersaglio. La prima riesce a dare anima e anche corpo, seppur poco – solo una coscia che cita il nostro poppe-fiction degli anni ’70 di ambientazione scolastica – ad un personaggio palpitante e sanguigno; mentre il secondo, in punta di piedi, sa entrare e uscire di scena senza risultare macchiettistico e senza tentare di rubar la scena a nessuno. Peccato invece, per il “sognatore” Luca Argentero. Non solo il suo ruolo poteva essere meno marginale e più presente, ma lo stesso attore non sempre è a suo agio, svelando in alcuni passaggi una puerilità del gesto e della voce che ci riporta agli sceneggiati televisivi. Solo Scicchitano, attore/personaggio dalle passioni indomite sa prendere letteralmente il film per le palle e scuoterlo così tanto da farci restare senza fiato, fermi immoli e col mento che trema. Bastano la sua timidezza a parlare con Beatrice, l’esplosione di pianto in ospedale, la genuinità della dichiarazione d’amore, il distacco maschio e duro alle notizie più tragiche per sentirsi in empatia col suo personaggio, oltre che riconoscere la sua smisurata freschezza attoriale.

Purtroppo la colonna sonora è quella che è – forse invece dei Modà, bastava “Ti lascio una parola” dei Nomadi e il film avrebbe volato più alto – ma lo sviluppo narrativo è sorprendentemente efficace pur ricalcando l’iter canonico di film di questo tipo dove dopo l’euforia di un fatto felice arriva subito un fatto mortifero a riportare tutto alla dura realtà. Ad aiutare in questo gioco tra sogno e realtà sono anche molte trovate visive con cui il regista ha commentato alcune scene usando effetti speciali non invasivi, ma che funzionalmente corredano la narrazione e l’inquadratura, già satura di colori, forme e luce.

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