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Passion

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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La recensione su Passion

di leporello
8 stelle

Torna Brian de Palma con un film giallo dei suoi (lo si può chiamare semplicemente “giallo” come una volta?), perfettamente aderente al suo stile e alla sua classe. Abbondantemente sponsorizzato (ma non facciamogliene una colpa: statistiche alla mano, quello del pc della Mela è in assoluto il marchio più presente in tutte le pellicole mondiali da nord a sud, e l’altro kolosso koreano della telefonia sul cui smartphone il film candidamente debutta in primo piano con tanto di voice-over a reclamizzarlo non è certamente in fondo alla classifica), il film è appunto ambientato nel grosso, redditizio giro della pubblicità.

Isabelle (una Noomi Rapace un tantino imbolsita e appena appena, inspiegabilmente a disagio nel suo ruolo) è una talentuosa, emergente creativa di una importante impresa pubblicitaria, alle dirette dipendenze di Christine (al contrario dell’altra co-protagonista, una fiammeggiante, splendida e biondissima Rachel McAdams, perfettamente calata nel ruolo di squalo-femmina perversa, pronta a ogni bassezza e sotterfugio pur di ottenere i risultati che cerca, sia in campo professionale, sia nell’ambito della vita privata). La latente rivalità tra le due, destinata ad esplodere quando l’essenza “gialla” della storia vorrà prendere il largo, trova in Dirk (Paul Anderson), ufficialmente “fidanzato” di Christine e a sua volta corrotto dirigente della ditta, e in Dani (la germanica Karoline Hertfurth), “assistente devota” (come lei stessa si definisce) di Isabelle, due occasionali quanto potenti acceleratori.

Se in tutta la prima parte del film de Palma si limita (si fa per dire) a sviluppare, sviscerando i tratti psicologici delle due donne, dalla svolta drammatica in avanti il regista si sbizzarrisce a darci tutto se stesso con i temi che gli stanno classicamente più a cuore e che fanno parte del patrimonio più alto del cinema di genere (inutile quanto scontato citare Hitchcock): il doppio, l’ambiguità, la commistione che resterà misteriosa fino e oltre la fine del film tra sogno e realtà, senza farci mai mancare (né nella prima, né nella seconda parte) tutto il suo talento di regista in senso stretto, con scene girate davvero magistralmente (una su tutte: quella del ricevimento “trappola” in cui Christine umilia spudoratamente Isabelle davanti a tutti, girata di sbieco e dall’alto, col punto di osservazione corrispondente ai monitor che trasmettono i video), con tocchi di classe magistrali come quella dei due ballerini de “Il Pomeriggio di un Fauno” che, in giustificatissima deroga alle leggi del cinema, fissano in camera per tutto il tempo, dall’alto del loro ruolo vagamente divino/divinatorio di portatori della “Verità”, una verità che allo spettatore non sarà mai dato di sapere pienamente. Gli apparenti dettagli che, come in ogni giallo che si rispetti, sono tutti fondamentali per la comprensione degli eventi, sono in questo film, come in ogni film giallo di spessore che si rispetti come è questo “Passion”, sapientemente distribuiti e abilmente “nascosti” tra le pieghe delle varie vicende.

Se aggiungiamo la partecipazione di un caratterista di valore come Rainer Boch nel ruolo dell’ispettore di polizia, giustamente sciatto e insignificante tra lo splendore corrotto degli ambienti in cui si svolge la vicenda, ecco completato il quadro degli elementi che fa sì che questo “Passion” (Il titolo, forse, fuorviante e che non trova spiegazione convincente, utile solo ad intasare i database ai motori di ricerca, è l’unica cosa poco azzeccata), tutt’ora non distribuito nelle sale, sia a mio avviso un film da non perdere per gli amanti di Brian de Palma, ma anche no.

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