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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Il sospetto

di logos
8 stelle

Lucas (un gran Mads Mikkelesen premiato per la migliore interpretazione maschile al festival di Cannes 2012) è un uomo solitario ma al tempo stesso ben integrato nella propria comunità. Solitario nel suo rapporto con se stesso, perché reduce da un passato spezzato, separato da una moglie che non vuole sapere più nulla di lui, neanche per quel minimo indispensabile di accordo per quanto concerne il loro figlio Marcus (Lasse Fogelstrom), il quale vorrebbe tornarsene con il padre, e non sopporta più di vivere con una madre che dalla cornetta del telefono si evince tutta la sua alienazione e insoddisfazione della vita. Non a caso, sempre per telefono, non esita a investire Lucas, dicendogli che il suo lavoro di maestro in un asilo è poco dignitoso, che esercita una cattiva influenza sul figlio. Ma Lucas, nonostante queste ferite, va avanti nella sua professione, con una passione e un’affidabilità che lo rendono ben voluto da tutti, non solo dai bambini e dalle colleghe, ma anche dalle famiglie.

 

Si potrebbe dire che Lucas è un punto di riferimento valoriale per tutta la piccola comunità danese, un simbolo esemplare, cosa che del resto lo rende fiero di sé, al punto da attrarre il desiderio di una donna, Nadja (Alexandra Rapaport), con la quale realizzerà una relazione affettiva. Ma di lui si innamora anche la bambina Klara (Annika Wedderkopp), figlia del suo miglior amico, Theo ((Thomas Bo Larsen). Theo e sua moglie non vanno molto d’accordo, litigano persino su chi accompagnare la figlia all’asilo, e così la picco Klara se ne sta lì, davanti casa, ad attendere che passi finalmente il suo principe azzurro, il caro maestro Lucas, che con dolcezza e gentilezza la accompagna fino all’asilo, con un accordo ben preciso e carino: lei potrà camminare contando le righe del selciato senza la preoccupazione di smarrirsi, mentre lui, il maestro, guarderà la direzione verso la meta.

 

Giunti all’asilo, per tutti i bambini è tutta una festa l’arrivo di Lucas. Perché Lucas non è come le altre colleghe che se ne stanno raccolte nel loro spazio adulto per approfittare della ricreazione dei bimbi; no, Lucas è un maestro a tutto campo, gioca con i bambini, si rotola per terra con loro, fa finta di morire e di resuscitare, mentre Klara, approfittando di tutto questo marasma innocente e festivo, coglie l’occasione al balzo per dargli un bacino sulla bocca. Sono cose che possono capitare, e Lucas da buon educatore cerca di trovare un attimo per parlare con la bambina, per farle comprendere che quel bacio va restituito ai loro genitori; ma Klara ha in serbo per Lucas un regalo fatto con le sue stesse mani, un cuore di chiodini, che però Lucas non accetta, confidando a Klara di farne dono a un suo coetaneo.

 

La bimba dalla fervida immaginazione la ritroviamo poi sola, stizzita, con il suo regalo, di fronte a una preside preoccupata del suo stato d’animo, e alla quale, sollecitata dalle sue domande, riferisce che Lucas è una persona cattiva, perché mostra il suo pene in alto. E’ quanto basta perché la m.d.p. segua con rigore la costruzione in atto, passo dopo passo, di un vero e proprio etichettamento sulla persona di Lucas in quanto pedofilo, etichettamento che si consolida attraverso le procedure di sondaggio psicologico su tutti i bambini eventualmente coinvolti nelle molestie del maestro, e che poi si solidifica nella comunicazione scolastica di tale profilo pedofilo alle famiglie appositamente convocate in assemblea, con tanto di istruzione su come accudire i loro bambini, e che infine si ufficializza con l’arresto di Lucas.

 

Anche se Lucas viene prosciolto dall’accusa perché i fatti non sussistono, oramai la sua esistenza è marchiata dalla comunità. Come reietto viene respinto a suon di botte dal supermercato dove solitamente va a fare la spesa, viene minacciata fisicamente la sua integrità, gli viene ucciso il cane, ed è costretto, pertanto, a vivere in disparte da tutti, persino da suo figlio, che nel frattempo ha ottenuto la possibilità di stare con lui, ma che il padre esorta ad andarsene affinché eviti persecuzioni anche sulla sua persona. Lucas non si arrende, con determinazione affronta tutta la comunità raccolta nella messa della vigilia di natale, perché ormai solo la sua presenza fisica può essere in grado di suscitare in quella comunità un senso collettivo di pentimento; e in effetti è proprio Theo ad accorgersi che nel volto di Lucas non c’è alcuna macchia, per cui andrà furtivo a trovarlo in quella notte, per un’effettiva riconciliazione. Il tempo passa, e un anno dopo vediamo un Lucas finalmente riaccolto nella comunità, e tutto pare andare per il verso giusto, tant’è che la scena raffigura un momento festoso e di gioia comune, in cui proprio suo figlio viene introdotto all’iniziazione della caccia dei cervi. E proprio durante questa prima campagna di caccia, all’improvviso, un colpo di fucile viene sferrato su Lucas, mancandolo solo di un poco, mentre una figura umana, tra il reale e fantasmatico, dilegua nell’indistinto, e Lucas rimane lì, sospeso, con tutta la sua esistenza, ferita nel suo abisso, perché è proprio quello sparo reale e irreale a segnalare tutta l’angoscia di un uomo al tempo stesso condannato e assolto in un’unica formula, in un unico gesto terribilmente ambiguo e diabolico, perché non c’è niente di più assurdo nell’essere a un tempo accolti e respinti, voluti e non voluti, riconfermati e sbattuti via. Ma tutto ciò è perfettamente lineare con una cultura barbarico-borghese nordica, che per rimanere intatta deve odiare e amare la propria preda, nella quale potersi sublimare quale totem e tabù, per non crollare definitivamente su se stessa senza più alcun fondamento che sia ancora umano.

 

Vinterberg propone dunque un'opera in cui centrale è la figura del capro espiatorio di una comunità che altrimenti non saprebbe reggere nelle proprie contraddizioni; tale figura poi assume una valenza vorticosamente dialettica: da capro espiatorio diventa l'innocente ingiustamente colpevolizzato dalla comunità, la quale, così, riconosce i propri limiti; ma poprio questo secondo passaggio costituisce il momento più inquietante (fino a che punto una comunità riconosce i propri limiti ed è pronta a reggersi sulla consapevolezza dei danni arrecati a un membro che ne ha fatto parte il quale del resto, riconosciuto innocente e dunque ingiustamente offeso, vuole restare, come prima e più di prima, nel seno della comunità medesima?); arriviamo così al terzo momento, per il quale la comunità si riunisce intorno al capro espiatorio, lo riapprezza e riassorbe ma al tempo stesso lo disprezza come minaccia irriducibile. Lucas diventa così la figura del martire innocente, ma che proprio per questo non può che essere perturbante, fattore di squilibrio radicale per tutti i membri, a prescindere dal fatto che non abbia compiuto nulla di male, anzi... e come tutte le Divinità e le Esistenze, dovrà rinascere e morire, come il corpo dei cervi, in un'angoscia risoluta e senza argini...

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