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The Untold Story

Regia di Herman Yau vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Untold Story

di pazuzu
8 stelle

Nel 1978, ad Hong Kong, una partita a mahjong finisce male, con il vincitore che finisce arso vivo da uno sconfitto poco solerte nel saldare i debiti che poi scappa dalla città facendo perdere le proprie tracce.
Nel 1986, a Macao, mentre al comando di polizia arriva dalla Cina la denuncia della scomparsa del proprietario di un ristorante cinese del posto, il mare restituisce alla spiaggia di Chuk Wan un sacco contenente arti umani in via di putrefazione che analizzati risultano esser (stati) della suocera del ristoratore stesso. L'esercizio commerciale, che funge(va) anche da alloggio per lui sua moglie ed i cinque figlioletti, risulta però di fatto condotto proprio dall'uomo fuggito da Hong Kong otto anni prima e tornato in circolazione sotto il falso nome di Wong Chi Hang, che dopo avervi trovato lavoro come cameriere afferma di averlo acquistato dal proprietario stesso, Cheng Lam, ma di non possedere l'atto di vendita per via dell'improvvisa (quanto misteriosa) sparizione sua e della famiglia al momento della firma a pagamento già avvenuto. Ignara del suo passato ma insospettita dalle coincidenze, la polizia inizia a stringere il cerchio su Wong mentre questi, noncurante, dimostra di non aver perso il vizio uccidere.

Girato ad Hong Kong nel 1993 da Herman Yau e soggetto a censura spietata al momento della sua uscita in patria (fu classificato Cat. III - l'equipollente dell'italiano VM18 - e sforbiciato, trovando distribuzione in versione integrale solo nel 2004 tramite la conterranea Tai Seng e l'austriaca Raptor Film International), The Untold Story si ispira a fatti realmente accaduti, ed il regista nulla fa per nascondere al pubblico ciò che da subito appare se non chiaro perlomeno intuibile, ossia la pazzia del suo protagonista e le sue evidenti responsabilità sulla terribile sorte occorsa alla malcapitata famiglia Cheng. Non è il disvelamento del mistero sull'identità dell'assassino, infatti, la ragion d'essere della pellicola, quanto piuttosto la gamma di ritratti agghiaccianti che riesce a mettere in scena: a partire da quello del protagonista, un uomo mostruoso ed inquietante nella sua apparente normalità, passando per quello delle forze dell'ordine, composte per lo più di inetti grossolani e privi di qualsiasi morale, e terminando con quello di una società vendicativa impietosa ed incosciente, che condanna l'aguzzino ma si accanisce su di lui con la medesima cieca brutalità.
Yau parte scegliendo di alternare registri piuttosto distanti: da un lato l'atmosfera malata che aleggia ogni volta che a muoversi è il protagonista, capace di far fuori chiunque gli intralci la strada usando mannaie ed armi poco convenzionali (spilloni portacomande, mestoli in acciaio, bottiglie di vetro) per poi squartarlo, tritandone la carne, cuocendola con le interiora, ed utilizzando il tutto come ripieno per il piatto forte del locale, gli involtini alla griglia; dall'altro quella leggera che accompagna le schermaglie tra i poliziotti, con la donna invaghita non corrisposta del capo (che invece si presenta al commissariato ogni giorno con una prostituta diversa), il collega sempre allupato che le fa il filo invano, ed altri due che oscillano tra idiozia e nullafacenza.
Horror e commedia si incontrano in una commistione stridente e folle che rischia di restare fine a sé stessa causa un certo sbilanciamento sul versante della farsa durante la prima metà del film, salvo raggiungere un senso pieno e compiuto nella seconda, con la svolta - drammatica ed anti-drammatica al tempo stesso - che vuole Wong subito in prigione con una condanna già scritta e prevedibile, di nuovo soggetto, ma stavolta nel ruolo della vittima, di un'interminabile teoria di torture che vedrà coinvolti, in quello dei carnefici, agenti infermieri detenuti e secondini, ciascuno preda delle proprie pulsioni più basse, uniti - nel nome di una violenza eletta a linguaggio universale - allo scopo di estorcere una confessione che arriverà sotto forma di atroce ed insostenibile mattanza in flashback.
Plateale ed eccessivo, The Untold Story è uno spaccato di umana cattiveria che non fa sconti, stordisce e lascia il segno, regalando diversi momenti di inenarrabile crudezza (dallo stupro con le bacchette cinesi alla carneficina finale, senza dimenticare la scena in cui Wong nel bagno della galera si recide un'arteria coi denti dopo essersi tagliato la pelle del polso utilizzando l'estremità dentellata di una paletta di metallo per l'immondizia).
In piena sintonia con i toni estremi, in un verso e nell'altro, scelti dal regista, va lo stile di recitazione sistematicamente sopra le righe del cast, all'interno del quale, accanto a Danny Lee (anche produttore) che gigioneggia nel ruolo dell'ispettore puttaniere, giganteggia lo spaventos(amente brav)o Anthony Wong, che con occhiali da nerd sguardo schizzato e ghigno sadico dà forma e sostanza ad un indimenticabile assassino seriale, portando a casa il premio di migliore attore agli Hong Kong Film Awards del 1994.

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