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No - I giorni dell'arcobaleno

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su No - I giorni dell'arcobaleno

di chinaski
8 stelle

Pablo Larraìn, per raccontare il referendum del 1988 che segnò la fine del regime militare di Pinochet in Cile, sceglie un punto di vista narrativo particolare, quello della campagna pubblicitaria dei sostenitori del No, cioè coloro che non volevano che il presidente continuasse a governare. Un punto di vista interno ad un settore specifico della società moderna, con il suo linguaggio e le sue regole. Reneé Saveedra, giovane pubblicitario, cercherà proprio di applicare queste regole ad una serie di contenuti politici e sociali che invece sono pervasi di sofferenza. Larraìn lavora su questo paradosso, come quelli che fecero la campagna per il No. Trattare in maniera leggera e irriverente il dolore collettivo e in alcuni casi ancora pulsante di una parte del popolo cileno e trasformarlo in nuova energia e vitalità, nella voglia di un cambiamento definitivo. Non tutto il popolo cileno, però, era contrario alla figura di Pinochet, come evidenzieranno anche i dati finali del referendum, un popolo che Larraìn tiene costantemente fuoricampo o che si affaccia dallo schermo solo nei materiali di repertorio di quel periodo. E’ quindi l’immagine di questo popolo ciò che interessa il regista, l’immagine che fu costruita e, soprattutto, il modo in cui fu costruita. E allora ci ritroviamo dall’altra parte, prima dello schermo, a vedere come nasce una pubblicità. Le idee, le discussioni, i set, le riprese, la musica, i jingle. Tutto il lavoro fatto per creare un prodotto audiovisivo vendibile. E arriviamo anche ad un altro paradosso: applicare i termini del mercato ai valori etici. Qualcuno trova questo immorale, qualcuno capisce che adottare il linguaggio della pubblicità è il solo modo per vincere in un mondo che dalla televisione è sempre più controllato.

Il regista usa molto la camera a mano e una pellicola volutamente invecchiata, con immagini sporche, che riporta con i suoi colori desaturati, con aloni flou, all’estetica degli anni ’80, alcune volte la luce solare colpisce direttamente l’obiettivo, imbiancando lo schermo, che diventa accecante e poi di nuovo lo scorrere della vita, nelle strade, nelle stanze in cui si parla e si organizza la prossima strategia. Gael Garcia Bernal, nel ruolo di Saveedra, si muove costantemente disorientato nello spazio che ha intorno, in uno studio come tra i blindati della polizia, il suo sguardo sembra non riconoscere quello che vede, uno sguardo già condizionato dalle leggi televisive, uno sguardo che a sua volta trasformerà la realtà, riproponendola sui piccoli schermi, adattandola ad essi. Larraìn, partendo da un evento decisivo del suo Paese, parla di qualcosa di molto più grande, l’inizio dell’invasione catodica, del controllo sociale e dell’opinione pubblica attraverso la televisione, Pinochet perde non perché odiato dal suo popolo ma perché inevitabilmente in ritardo con i cambiamenti del mondo che ha intorno, primo su tutti quello della comunicazione, perde perché, in futuro, il nostro presente, il controllo non si eserciterà più con la violenza e la repressione, ma sorridendo davanti ad una telecamera.

 

 

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