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Under the Skin

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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La recensione su Under the Skin

di maurizio73
7 stelle

Sconosciuto e camaleontico essere alieno assume le sembianze di una bella ragazza che, scorazzando su di un furgoncino per le strade di una cittadina scozzese, adesca e rapisce ignari esemplari di sesso maschile per un misterioso progetto di conoscenza o di conquista.
Turbata e scossa dai risvolti emotivi delle proprie sembianze umane, decide di abbandonare i suoi propositi ostili e fuggire dagli spietati emissari della propria razza decisi a catturala. Ma il più grande pericolo per lei è rappresentato proprio dall'istinto predatorio della specie cui aveva inizialmente dato la caccia.
Più dalle parti di una fantascienza straniante e metaforica ('Lontano da Dio e dagli uomini' - 1996 - Sharunas Bartas) che dalle paranoie apocalittiche di una incombente minaccia per l'umanità e della teoria del sospetto in tempi di guerra fredda ('L'Invasione degli ultracorpi' - 1956 - Don Siegel), piuttosto che agli effetti tragicomici di uno shock culturale con risvolti sentimentali ('Starman' - 1984 - John Carpenter), il film del londinese Jonathan Glazer (Birth - Io sono Sean - 2004) cala questa storia di adduzione aliena e predazione umana nel 'climax' uggioso e nelle atmosfere cupe di un paesaggio scozzese la cui gelida bellezza sembra fare da contraltare a quella di una protagonista femminile che da sinuosa e conturbante mantide religiosa venuta da un altro mondo si trasforma in un essere indifeso e solitario costretto a fare i conti con la debolezza di una sorprendente e sconosciuta natura umana. Storia di conoscenza prima che di conquista, quella tratta dall'omonimo romanzo di Michel Faber viene tradotta nel rigore di una messa in scena che alla ridondanza dei dialoghi sostituisce il resoconto scarno e quasi intimista di una missione di morte scadita tanto dal lirismo teso delle immagini (talora alla ricerca di una simmetria quasi pittorica dell'inquadratura nei meravigliosi esterni del paesaggio scozzese) quanto in quello ossessivo e ipnotico delle musiche originali di Mica Levi. Il risultato è un film teso e magmatico che traduce nel linguaggio del corpo (quello procace e ferino di una sensuale Scarlett Johansson e quello squallido e gracile delle sue inconsapevoli vittime) un rapporto di forze che rimanda alla natura predatoria dell'istinto animale (umano o alieno che sia) ma anche alla debolezza di una sfera emotiva che sembra riecheggiare con laceranti squarci e imprevedibili sussulti (lo straziante pianto di un bambino, la vista del sangue sulla mano, la commovente dolcezza di un essere indifeso, la spiazzante bellezza di un'immagine allo specchio) nella mente di una protagonista femminile fulminata come San Paolo sulla via di Damasco (o di Glasgow, fa lo stesso). Più che l'inevitabile simbolismo che fa capolino nella matrice onirica del film di Glazer (le sequenze iniziali di un'apprendistato linguistico e morfologico, l'angoscioso rituale predatorio di una viscida carta moschicida a misura d'uomo, l'ammiccante stratagemma di una irresistibile esca sessuale) la chiave del film sta nella sua misura tragica, nell'ineluttabile caduta, parabola cristologica di un essere fragile che soccombe di fronte alla struggente debolezza della propria umanità. Homo omini lupus, ma qui anche gli alieni non scherzano. Proiettato in concorso al Festival di Venezia 2013 e distribuito in questi giorni nelle sale italiane.

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