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La mafia uccide solo d'estate

Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film

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La recensione su La mafia uccide solo d'estate

di scandoniano
8 stelle

Primo film scritto, diretto ed interpretato da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Prima di diventare testimonial e dopo aver fatto “Il testimone”, titolo del programma di successo di MTV, il nostro si cimenta in un’avventura titanica: provare a far ridere, riflettere e commuovere tutto in un colpo solo (il pane quotidiano di uno del calibro di Charlie Chaplin, tanto per dire…). Lungi dal voler fare paragoni irriverenti, cento anni dopo e migliaia di chilometri più a Sud dell’inarrivabile maestro inglese, l’istrionico attore e scrittore palermitano fa lo stesso, partendo dal tema più terribile che attanaglia la Sicilia e prova a far comprendere a quelli “del Continente” come si sia arrivati alla presa di coscienza da parte della gente comune di quale sia e che entità abbia il terribile cancro della Trinacria. Il principale pregio del film (che riequilibra una regia prevedibilmente acerba) sta nell’originalissimo soggetto: esulando dai classici film biografici o da quelli simil-documentaristici, Pif ha deciso di intrecciare i fatti di cronaca nera con quelli del protagonista Arturo, palermitano nato e cresciuto in un’epoca di inconsapevolezza (reale o presunta) del fenomeno, ma soprattutto in un’era (precedente al maxi-processo) di grande sottovalutazione del problema. L’ex “iena”, con la collaborazione di una Cristiana Capotondi meno brillante del solito, fornisce alla storia un taglio atipico, con la forzatura, accettabile perché necessaria, di far combaciare tempi e luoghi personali con quelli dei principali avvenimenti di cronaca (a partire dal bizzarro e divertente concepimento del protagonista): una modalità creata ad hoc per raccontare senza tediare. Lo scopo di informare in maniera disincantata, utilizzando una sorta di biografia romanzata (per la verità qui e là parossistica anche se mai fuori dalle righe), viene raggiunto pienamente, lanciando anche numerosi precetti, qualcuno può chiamarli “moralismi”, necessari ma doverosi. Che Andreotti sia stato un colluso ce lo hanno detto i processi, meno scontato è la necessità di insegnare “dove sia la malvagità nel mondo” ai propri figli…
Si noti che, coerentemente con un certo modo di fare d’uopo in certi ambienti, la parola innominabile non è stata nominata. Tanto, a meno che non siate l’avvocato di "Johnny Stecchino", il concetto dovrebbe essere chiaro; e di ciò dobbiamo ringraziare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici e, da qualche tempo a questa parte, anche un certo “Pif”.

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