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Tulpa - Perdizioni mortali

Regia di Federico Zampaglione vedi scheda film

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La recensione su Tulpa - Perdizioni mortali

di Kurtisonic
4 stelle

Tulpa vuole essere dichiaratamente un omaggio attualizzato al periodo d’oro del cinema di Argento, Bava, Martino ecc, che negli anni 70 ha aperto scenari ancora poco conosciuti per gli schermi nostrani riuscendo con un genere, quello horror a dense tinte di giallo, ad attirare un pubblico stanco e confuso da derive autoriali il cui valore culturale veniva però messo sullo stesso piano di prodotti qualsiasi. La cinematografia italiana virava decisamente sulla richiesta di consumo dal basso per leggere una realtà in piena trasformazione, avvitata in una crisi di identità dalla quale emergeva l’incapacità (salvo le debite eccezioni) di attribuirne competenze e valori collettivi. Elementi che vediamo ripetersi a distanza di quarant’anni, ma che Tulpa con il suo regista Zampaglione evita di “sporcarsi” tanto che così il suo omaggio risulta essere solo un prodotto fuori tempo. Infarcito come si deve di violenza, sangue, e un po’ di sesso rigorosamente soft, Tulpa non turba e non sconcerta, anzi di fronte ad una cronaca del quotidiano sempre più cruenta, nemmeno spaventa ed è la cosa più grave. Zampaglione fa sfoggio di tutti gli stereotipi di genere per restare a metà strada fra la connotazione più classica, quella horror- gore, e una lettura da psico-thriller che non si contaminano neanche lontanamente. Lisa, una rampante donna manager di giorno, si dedica di notte alla frequentazione di un club, il Tulpa, alla ricerca di sensazioni forti, dove libera le sue fantasie e le sue pulsioni. Una serie di efferati delitti che coinvolgono persone che lei ha frequentato, la metteranno in serio pericolo. Il corredo di genere è esibito a dovere, il killer seriale di nero vestito, la bella procace in pericolo, sangue a volontà, lame affilatissime, riferimenti pseudo simbolici a misticismo e sesso senza freni inibitori e senza originalità. La mancanza di una sceneggiatura un po’ corposa, e nel genere non sarebbe un difetto, viene in realtà compensata da un erotismo patinato che specialmente nella prima parte cozza con la definizione di un personaggio, quello della protagonista interpretato dalla bella Claudia Gerini, tesa a bilanciarne la doppia personalità, oscura e curiosa da una parte, inserita alla perfezione nel lavoro, preparata, cosciente e affidabile nell’altra. In un meccanismo di genere come questo, tutto ciò centra davvero poco e ricorrendovi sistematicamente impedisce di fatto la costruzione per gradi nello sprofondo più horror. La rivisitazione significa anche interpretare un tipo di cinema con la traduzione temporale di quei simboli e di quei congegni linguistici che allora ne costituivano l’asse portante ma che oggi il tempo ha plasmato, incorporato e utilizzato in nuove combinazioni, vuoi per mutazioni tecnologiche del mezzo di ripresa, e per un adattamento “genetico” della sensibilità del pubblico a determinati temi. Gioverebbe una immissione di massiccia ironia e non l’involontarietà ridicola, che tocca il suo vertice indimenticabile con il personaggio del guru del Tulpa, per cogliere a distanza di tempo ma con un occhio diverso la bellezza e la lucida follia di quel cinema che non aveva bisogno ne di grandi interpretazioni ne di contorsioni intellettuali, ma che si nutriva della inarrestabilità del male e della violenza più sadica. Invece Tulpa si prende molto sul serio, alimentando elementi di puro decor affatto determinanti ad imprimere alla vicenda un taglio più teso e pauroso, il colpo di scena telecomandato è la conseguenza finale. Abbiamo scherzato, sembra dire il regista, rientriamo nello scalpore di maniera e in territori più rassicuranti. Il genere a cui il film vuole rifarsi, invece diceva proprio il contrario.

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