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La regola del silenzio - The Company You Keep

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su La regola del silenzio - The Company You Keep

di LorCio
7 stelle

Non fa onore al film di Robert Redford il titolo scelto dalla distribuzione italiana, che cestina il più sarcastico The Company You Keep optando per un titolo più banale da thrilleraccio da seconda serata di RaiDue. Redford atterra nel nostro mondo da un altro cinema, in cui si realizzavano film solidi ed appassionanti, civili e commerciali, complessi ed immediati. Ha avuto dei grandi maestri che sapevano usare il mestiere con efficacia, audacia e competenza, Sidney Pollack e Alan Pakula su tutti, da cui ha appreso i segreti della macchina da presa.

 

Redford è tra i pochi attori che può vantare un'altrettanto ottima carriera da regista e quest'ultimo film è un po' la sintesi del suo percorso davanti e dietro la cinepresa: l'uomo più biondo di Hollywood è stato per anni il leader ideale dei liberal americani, un modello di vita, un esempio, un riferimento. Qui interpreta un ex terrorista ufficialmente macchiatosi di un delitto durante un attentato alla fine degli anni settanta (in effetti si ringiovanisce un po'), ma stiamo inevitabilmente dalla sua parte, perché da una parte ne compatiamo i lutti familiari e i dolori sentimentali, mentre dall'altra ne apprezziamo irrazionalmente la capacità di essere un latitante in età non essattamente giovanile.

 

Fondamentalmente l'intrigo de La regola del silenzio è interessante fino ad un certo punto: indubbiamente la tensione è alta, la sceneggiatura tiene, i riferimenti sono attendibili, l'atmosfera è quella giusta, l'inchiesta tiene. Il personaggio di Shia LaBeouf è un evidente prodotto della sua generazione migliore, per quanto comunque non sia privo di forse troppa ambizione, ma viene dalla redazione di Tutti gli uomini del presidente (Shia si conferma l'attore giovane più malleabile ed apprezzato dai reduci della New Hollywood e la sua somiglianza con Dustin Hoffman è quantomeno evocativa) e muove le fila dell'aspetto legal della storia (l'estenuante ricerca della verità come unica via di salvezza: sarà poi vero?).

 

Il vero interesse del film è la galleria di piccoli ritratti di vecchi ragazzi, il gusto delle tante microstorie che formano il coro dei terroristi in incognito o folgorati sulla via della sanità: ne vien fuori un piccolo album di famiglia in cui non si può non restare affascinati dalla versatilità di Susan Sarandon (a cui appartiene la battuta-chiave: "abbiamo sbagliato, ma avevamo ragione"), dalla ruvidità di Nick Nolte, dalle rughe profonde di Richard Jenkins, dagli sguardi torvi di Brendan Gleeson e dallo splendore di Julie Christie (che si porta ancora con sé il mistero degli occhi di Lara Antipova).

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