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Solo Dio perdona

Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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La recensione su Solo Dio perdona

di lorebalda
8 stelle

 

La dolce resa

Ryan Gosling

Solo Dio perdona (2013): Ryan Gosling



«L'idea originale del film era raccontare la storia di un uomo in lotta contro Dio. Un argomento difficile, ma devo dire che mentre scrivevo la sceneggiatura di Only God Forgives stavo attraversando un periodo di grande turbamento esistenziale – mia moglie stava aspettando il nostro secondo figlio e la gravidanza è stata difficile – quindi l'idea di avere un personaggio in lotta contro Dio senza sapere il perché mi ha subito conquistato. A partire da qui, ho aggiunto un personaggio che crede di essere Dio (Chang), l'antagonista; il protagonista invece è diventato un gangster alla ricerca di una religione in cui credere (Julian). Tutto questo è molto esistenziale: la fede nasce dalla necessità di rispondere ai grandi quesiti ma in realtà, per la maggior parte del tempo, non sappiamo mai qual è la domanda. Quando arriva la risposta, e soltanto allora, ripensiamo alle nostre vite, alla ricerca della domanda. Si potrebbe dire che Only God Forgives è stato pensato come una risposta, con la domanda rivelata alla fine» (Nicolas Winding Refn)

Only God Forgives è un film sconcertante: chi ha amato Drive molto probabilmente rimarrà deluso dal nuovo film di Nicolas Winding Refn. Perché il regista danese estremizza le scelte stilistiche del film precedente, esaspera le volute formali, prosciuga la narrazione: ovvero realizza quel film seminale che, dopo Valhalla Rising e soprattutto Drive, prodotto d'autore corretto e già pronto per la consumazione, indeciso fra l'hard e il soft (e compiaciuto di questa indecisione che lo avrebbe immediatamente imposto fra i cinefili come instant cult), sarebbe stato molto difficile prevedere.
Infatti Only God Forgives è tutto fuorché un film "alla moda": qui Refn rischia davvero. E proprio l'accoglienza riservata dalla critica (e dal pubblico) a questo suo nuovo lavoro, un sulfureo oggetto inaspettatamente hard, ingestibile perché prismatico, a consumazione interiore, lo conferma.

«Il cinema deve impedire al pubblico di rimanere ricettore passivo, deve penetrarlo, scioccarlo, colpirlo con violenza. Magari sarà la peggiore esperienza della vita dello spettatore, ma sarà comunque un’esperienza che non lo abbandonerà più. Il peggior nemico del cinema d’autore è il buon gusto, e se con Only God Forgives sono riuscito a suscitare emozioni forti, anche se negative, sono soddisfatto» (Nicolas Winding Regn)

Si è letto che Only God Forgives sarebbe un'opera provocatoria e derivativa, ideologicamente poco limpida, addirittura fascista. Le motivazioni? La riduzione della sceneggiatura a pochi brandelli di dialogo, peraltro non sempre nuovissimo; la recitazione di uno degli attori più amati del momento, Ryan Gosling, costretto da Refn a comunicare esclusivamente con il corpo, alla maniera di un non professionista, con due o forse tre espressioni, obbligato a mettere da parte il divismo per farsi elemento decorativo fra gli altri (troppi?) del film; l'evidenza spudorata e greve del sistema simbolico, appesantito da ripetuti riferimenti alla psicanalisi e alla tragedia greca; l'insistente, esasperato (esasperante?) gioco luministico formale del film, che immerge il revenge movie in un'atmosfera di impotenza e pulsioni represse (la tentazione omosessuale su tutte), in cui luci e scenografie sono chiamate a contrastare, chiaroscurare e sostanziare psicologie al grado zero; l'esotismo ricercato e molto fantasioso di una Thailandia cinematografica «normalizzata», vampirizzata con «grinta colonialista», ridotta a una mappa di coordinate immediatamente riconoscibili dallo spettatore "occidentale".
Dunque, come si poteva pensare di poter perdonare a Refn, autore del modaiolo e romanticheggiante Drive, un tale cambiamento di prospettive, e la scelta di intraprendere la strada di un cinema della crisi, confessionale e terapeutico, catartico e amorale, a uso e consumo soltanto personale, aldilà del bene e del male? Registi con molto più credito avevano già tentato l'impresa (recentemente, un altro danese: Lars Von Trier con Antichrist), uscendone, presso pubblico e critica, con le ossa rotte.

 

Ryan Gosling

Solo Dio perdona (2013): Ryan Gosling


Dunque non starò a ribattere colpo su colpo alle opinioni validissime di chi non ha amato il film, rimanendone disgustato, ben sapendo che tale impresa sarebbe fallimentare dal principio: perché Only God Forgives è un film che vivaddio non cerca consensi, o peggio, allori festivalieri. Piuttosto è il lavoro urgente ed intimo, di un formalismo così eccessivo che finisce per essere nudo e azzarderei teorico, di un regista forse al culmine della sua maturità, e del successo consentitogli, e che però ha pensato bene fosse il momento di interrogarsi sul suo cinema, e sul suo stile, e sui rischi ai quali potrebbe andare incontro.
Lars Von Trier, all'uscita del sublime Antichrist (altro film accusato di fascismo, misoginia, formalismo cerebrale), disse chissà quanto provocatoriamente: «non faccio film per il pubblico o per la critica, ma per me stesso». Superato l'impasse di Drive e di Bronson (altro film compiacente, fintamente d'autore), messa da parte la confusione di Valhalla Rising (ancora un film esteriore che però non teorizza fino in fondo la propria esteriorità), Refn potrebbe ora ripetere, senza rischiare di essere smentito, le stesse parole. Perché Only God Forgives è teorico, svuotante. E catartico.

«Ad ispirarmi è stata l'immagine di qualcuno che si guarda le mani, a pugni chiusi. Non sapevo ancora cosa volesse significare ma mi sembrava una bella immagine, e più andavo avanti più capivo che aveva a che fare con la natura della violenza maschile. Togli a un uomo le mani e gli porti via tutto, come se lo privassi del suo istinto. Le mani possono esprimere anche sottomissione: il pregare consiste spesso nel mostrare o lavare le mani, c’è quindi un aspetto sacrificale. Ma anche un'analogia con il sesso maschile: le mani possono rappresentare impotenza, castrazione oppure eccitazione sessuale. In più quando ero piccolo avevo una vera e propria ossessione per le mani, le proteggevo continuamente» (Nicolas Winding Refn)

Dunque Only God Forgives è un film sull'impotenza, su una situazione di stallo. Le mani di Gosling, inquadrate ripetutamente, stanno a significare proprio questo, una paralisi opprimente: l'unica libertà di Julian consiste nell'aprire o chiudere i pugni meccanicamente, o nel commettere una violenza insensata. Gli stessi artifici formali di cui abusa il film vanno in questa direzione: esaltare le forze centripete del quadro, attrarre e imprigionare lo sguardo. Refn si mette a nudo, e confessa i limiti del proprio cinema: Only God Forgives è una prigione allegorica di segni, corpi, colori.
La prima parte del film è un viaggio tra il fisico e il mentale in cui si affastellano premonizioni di morte, fantasie sessuali, immagini oniriche: una successione di sequenze narrativamente non giustificate ma simbolicamente potenti, suggestive. È forse il momento più difficile per lo spettatore che ha adorato Drive: perché Refn non fa niente per rendere digeribili le sue ossessioni, non chiede aiuto a uno script pretenzioso (Valhalla Rising) e monta la tensione lavorando direttamente sulla forma barocca, sul linguaggio cinematografico, senza quello specchietto per le allodole che è la tradizione del cinema di genere. Allo spettatore vengono lasciate soltanto due possibilità: prendere o lasciare. Entrare e perdersi nel labirinto del film, o fermarsi sulla soglia.

 

Ryan Gosling

Solo Dio perdona (2013): Ryan Gosling


Per questo Only God Forgives è l'harakiri cinematografico di Refn. Leggerlo politicamente, come pure ha deciso di fare Roberto Silvestri sul suo blog, il CiottaSilvestri, vuol dire fare un grave torto a un film che politico non vuole essere. Only God Forgives è puro terrorismo formale: un film sull'agonia del cinema formalista, sullo svuotamento progressivo del segno cinematografico – sul gesto formale in sé. Da qui la stilizzazione sfinita, mai libera o gioiosa, sempre gravata dall'oscurità, dalla paura e dal senso di colpa. Dal rischio della gratuità.
Only God Forgives è anche un film catartico (Refn: «la violenza dei miei film è catartica»), ma è una catarsi sofferta, che deve passare per la frantumazione delle ossa e la lacerazione delle carni. Non deve sorprendere allora che lo scontro tanto atteso tra Julian e il comandante di polizia (in pensione?) Chang si risolva velocemente, in una stupefacente sequenza che sale e scende, si gonfia e sgonfia, ritmata dal soundtrack martellante e intimista di Cliff Martinez, e con la misera sconfitta del personaggio di Gosling. Un'umiliazione. Le speranze dello spettatore sono (ancora) disattese.

In lotta contro Dio, in cerca di domande, chiuso in una prigione di segni e colori, in una scenografia sfavillante, costretto a deambulare attonito in una Thailandia da cartolina, e castrato da una madre-arpia vista mille e più volte al cinema, umiliato e ferito nel suo orgoglio di lottatore, Julian non ha altra libertà (per far finire il film, per sfuggire alle maglie sempre più strette della mise en scène) che consegnarsi al suo giustiziere, in una sequenza che non si sa se reale o immaginata, sotto la luce del sole, all’aperto, in un bosco. Una soluzione facile, banalmente nichilista, quella offerta da Refn? Il trionfo di una morale colpevolista? Cito Bruno Fornara:

«Refn (…) non pensa neppure per un attimo a comportarsi in modo corretto. Si circonda di scenografie esageratamente orientali e barocche, tra penombre e luci al neon, il film diventa un impero dei sensi per lo spettatore, per i suoi occhi e le sue orecchie, luogo dove si affonda in un sonnambulismo che va dal violento al languido, al dolente, tra silenzi opachi e esplosioni di malvagità, tra momenti febbricitanti e altri astratti. Troppo stile? Troppo compiacimento? Sì, certo. Ma, a guardar bene, tutto questo apparato è messo in atto per farci intravvedere una lontana, fragile via d’uscita. Forse irraggiungibile, o forse praticabile da chi la volesse cercare. Un sentiero sconosciuto in cui la forza, la fisicità, i corpi potessero non rispondere più alle tentazioni del vuoto e dell’oscurità, ma a una pratica di aerea compostezza. Via ogni peso. Vorremmo volare».

Il punto è questo: Refn fa pestare il suo protagonista, compiaciuto tiene fissa l'inquadratura sul volto tumefatto e pesantemente truccato di Gosling, fa subire ai corpi di questo film inenarrabili torture; eppure, dopo violenze intollerabili, c'è sempre il ritorno al sereno, alla quiete. Dopo le urla, il silenzio. Dopo l'azione, l'immobilismo. Dopo la violenza, una carezza d'amore.
Sprofondare nell'inazione, in una romantica sospensione degli eventi, nel mentre di un terribile atto di crudeltà, come la sequenza cult dell'ascensore di Drive: è questa l'utopia verso cui tende con un potentissimo paradosso del pensiero il cinema iperviolento e romanticheggiante di Refn. Non sorprenda pertanto che le parole della canzonetta sui titoli di coda di Only God Forgives siano quelle di una dichiarazione d'amore e fedeltà di due amanti. Un dolce arrendersi: questo chiede e racconta il film di Refn.

«Chi si aspetta un film di facile visione che eviti pure il mio cinema. O con me o contro di me» (Nicolas Winding Refn).

 

Ryan Gosling

Solo Dio perdona (2013): Ryan Gosling

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