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Oltre le colline

Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film

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La recensione su Oltre le colline

di lorebalda
6 stelle

 

L'importanza del fuoricampo

Si legge ovunque di Haneke e di Amour, ma si legge pochissimo di questo film di Cristian Mungiu, presentato a Cannes e premiato per la sceneggiatura e le due attrici. Non mi sorprende. Haneke gioca sempre in casa, rischia poco: e sceglie sempre i temi più attuali, e attori di immediato richiamo per la cinefilia (due mostri sacri del cinema francese, Trintignant e Riva, di nuovo al cinema, e addirittura assieme). Dispiace, però: perché sono convinto che questo film di Mungiu valga più di Amour. Perché? È più coraggioso, e stilisticamente è più originale. Più radicale. Ci destabilizza, un po’ come faceva Haneke, ma con mezzi opposti: lo spettatore è a disagio non per quel che gli viene mostrato, ma per quel che non riesce a vedere. Infatti sono pochissimi i cineasti che oggi utilizzano il fuoricampo e l'impasto sonoro con la stessa maestria di Mungiu: Dupa dealuri è un film da ascoltare.

Prendiamo lo spettatore comune. A leggere la storia di Dupa dealuri, già gli sembra di sentire il sapore scontatissimo dell’opera a tesi: il film sarebbe, e così ci dicono i manifesti, e i trailer, una sdegnata requisitoria contro qualunque fanatismo, quello religioso in primis. Ma adottare questa prospettiva per il lavoro di Mungiu sarebbe come dire che Amour di Haneke si tratti di un film sull’eutanasia: vorrebbe dire banalizzare il lavoro intelligente di un regista coraggiosamente fuori moda (e che forse proprio per questo non ha vinto la Palma d’oro a Cannes), che lavora con attori non professionisti, facce sconosciute, affidandosi al proprio linguaggio registico. Che è teso, ispirato, potente, raro.
Conviene ripeterlo allora: Dupa dealuri è un film straordinario. E la durata non deve spaventare: perché il film è scandito splendidamente da magistrali e mobilissimi pianosequenza, che danno ritmo eccezionale al racconto, da un impasto sonoro curatissimo (il soundtrack, qui, non è Schubert: sono i latrati dei cani, le sferzate del vento, i respiri affannosi). Il rigore visivo di Mungiu è impressionante, e la parabola, verso la fine, assume addirittura la statura dell’affresco (un poliziotto si chiede alla fine se l'inverno finirà mai, chiaro riferimento al clima di oppressione e indifferenza morale che vige in Romania).

Ma le anime candide siano avvertite: quel che il film descrive è agghiacciante. Dupa dealuri ha più di un punto in comune con il precedente lavoro di Mungiu, 4 luni, 3 saptamâni si 2 zile, Palma d’oro a Cannes 2007 (quanto avrà contato il tema superficiale dell’aborto?). Ma quel film,ci dice la critica italiana, era più attuale. Mentre Dupa dealuri racconta 'soltanto' un Paese desolato, freddo, profondamente segnato dalle frizioni fra arretratezza e modernità (e ha momenti geniali la contrapposizione tra la comunità ortodossa di Voichita e quella 'aldilà delle colline' della Romania contemporanea ma senza prospettive). Un Paese in cui nessuno vuole prendersi le proprie responsabilità e in cui forse alla fine nessuno è davvero colpevole, ma tutti (o quasi) sono complici dell’abbrutimento morale e materiale collettivi. Ma aspettate: tutto questo non vi ricorda qualcosa?
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