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Zero Dark Thirty

Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Zero Dark Thirty

di Marcello del Campo
6 stelle

 
Mi hanno perfino preparato un cappuccio, un sacco del sale, che mi infilano in testa e mi legano con una cordicella intorno al collo. Attraverso la trama del sacco li vedo portare una scala e appoggiarla a un ramo. Vengo condotto fin lì, mi mettono il piede sul piolo più basso, mi sistemano il cappio sotto l’orecchio. – Ora Sali, dice Mandel.
...
E oscillo appeso alla corda. La brezza mi solleva il grembiule e gioca col mio corpo nudo. Sono rilassato, galleggio, vestito da donna.   [J.M Coetzee, Aspettando i barbari, 1980, - 30 anni prima di Abu Ghraib]
 
 
 
 
Kathryn Bigelow è una grande regista e non c'è nessun suo film cui ho dato meno di ****; questa volta, lo ammetto, sono in una inquieta perplessità, tanto che, dopo averlo visto due volte, il mio voto oscilla [cosa che raramente mi è capitata] tra ** e ***. Ammetto di essere oscillante nel giudizio per questioni meramente 'ideologiche', un metodo che non ho mai usato verso nessun regista, neppure di destra. C'è qualcosa che mi disturba in ZDT, senza per questo fare mie le tesi di chi accusa la Bigelow di fascismo, - accuse che lasciano il tempo che trovano, - o di chi [tra i critici] parla ora di film 'realista', addirittura ascrivendo la regista al 'realismo' di Friedkin [Girolamo di Michele in http://www.uninomade.org/zero-dark-thirty/], tesi che non condivido, non riuscendo a cogliere il parallelo, - o di chi parla di 'iperrealismo' [Sentieri Selvaggi], segno che anche tra gli addetti ai lavori i punti di vista sono discordanti. Sono convinto che il cinema deve porre domande e non dare risposte, ma c'è un limite invalicabile quando la materia oggetto dell'opera, sebbene siano passati dodici anni, è ancora bruciante e la violenza nei territori in cui si voleva 'esportare la democrazia' lo è ancora di più, - basta leggere le cronache. La violenza, le torture dei prigionieri: qui la Bigelow, nonostante tutti ripetano che mai sia stato rappresentato l'irrappresentabile, a me sembra che abbia agito sottraendo, con un patetismo insopportabile [il torturatore, in fondo un 'good guy'], i singoli alle proprie responsabilità di carnefici. Senza dire che ce ne passa tra la rappresentazione delle torture e le immagini di Abu Ghraib che tutti abbiamo avuto modo di guardare [distogliendo gli occhi] sui media. Esagerando, Žižek dice che la Bigelow è incappata nella 'sindrome di Himmler', 'ho fatto solo il mio dovere di registrare i fatti'. Allora, parafrasando T.W. Adorno, è proprio vero che "dopo Abu Ghraib non ci sarà più poesia'. E' vero che la scelta di far vedere uomini incappucciati al guinzaglio come cani, sottoposti a tortura [ripeto: per Bigelow i torturatori sono ragazzi sensibili!] è parziale; si dimentica ciò che realmente [quale 'realismo', allora?] avvenne a Abu Ghraib: uomini vestiti da donna, oppure uomini nudi su sgabelli basculanti, soggetti alle voglie pornografiche di 'sensibili' virago, trascinati per il collo da catene lunghissime, sottoposti a derisione, 'scherzosamente' stuzzicati nelle parti genitali e via pervertendo. Ecco una testimonianza su ciò che la Bigelow ha taciuto: di fronte ad essa la osannata imperturbabilità della regista diventa ‘collaborazionismo’
 
Legarono le mie mani dietro la schiena e misero un sacco sulla mia testa. La prima cosa che fecero fu un esame fisico del mio corpo e abusarono di me. Insieme ad altri detenuti fui fatto sedere sul pavimento e trascinato nella stanza dell’interrogatorio. Questa cosiddetta stanza è di fatto un gabinetto (di circa 2 m x 2 m), fui sommerso di acqua e di rifiuti umani sino al livello delle mie caviglie. Mi fu chiesto di sedere nell’acqua putrida mentre l’americano che mi interrogava stava fuori dalla porta insieme al traduttore.
Dopo l’interrogatorio, venni portato via dal gabinetto, e prima che il successivo detenuto fosse portato dentro di esso le guardie urinarono nell’acqua putrida davanti agli altri detenuti. Dopo mi picchiarono ripetutamente e mi misero in un camion per trasferirmi in un’altra parte della prigione di Abu Ghraib. Durante la mia prigionia nel campo, fui interrogato e torturato due volte. Durante questo periodo sentii dagli altri detenuti che erano stati torturati con bruciature di sigaretta, che gli erano stati iniettati degli allucinogeni e che gli erano stati inseriti nel retto vari tipi di strumenti, come bastoni di legno e tubi. Tornavano al campo sanguinando fortemente. Alcuni avevano le ossa rotte. Dopo un mese e appena prima del tramonto venne chiamato il mio numero, mi misero un sacco sulla testa e le mie mani furono legate dietro la schiena. Anche le mie gambe vennero legate. Poi mi trasferirono in una cella.
Quando venni portato nella cella mi chiesero in arabo di spogliarmi ma quando mi rifiutai strapparono i miei vestiti e mi legarono nuovamente. Poi mi trascinarono su per una rampa di scale e quando non potevo muovermi mi colpivano ripetutamente. Quando raggiunsi la cima delle scale mi legarono ad alcune sbarre di ferro. Poi gettarono contro di me dei rifiuti umani e urinarono su di me. Dopo mi puntarono una pistola alla testa e dissero che mi avrebbero ucciso lì. Un altro soldato usava un megafono per urlare contro di me con insulti e umiliarmi. Durante questo periodo potevo udire le grida di altri detenuti che venivano torturati. Ciò andò avanti sino al mattino successivo.
Al mattino un israeliano si mise di fronte a me, mi tolse il sacco dalla testa e mi disse in arabo che egli era un israeliano che aveva interrogato e torturato detenuti in Palestina. Mi disse che quando i detenuti non collaboravano venivano uccisi. Mi chiese ripetutamente i nomi dei combattenti della resistenza. Gli dissi che non conoscevo alcun combattente della resistenza ma egli non mi credette e continuò a colpirmi. Questo israeliano che vestiva abiti civili mi torturò inserendomi nel retto prima un bastone di legno seghettato e poi la canna di un fucile. Ero ferito all’interno e sanguinavo copiosamente.
Al quindicesimo giorno di detenzione mi venne data una coperta. Ero sollevato dal fatto che mi venissero date delle comodità. Dal momento che non avevo vestiti feci un buco al centro della coperta sfregandola contro il muro e così fui capace di coprire il mio corpo. Questo era il modo in cui tutti prigionieri coprivano i loro corpi quando gli veniva data una coperta.
Un giorno un prigioniero venne verso la mia cella e mi disse che gli interrogatori volevano velocizzare la loro indagine e avrebbero usato dei più brutali metodi di tortura per ottenere le risposte che volevano dai prigionieri. Fui portato nella stanza degli interrogatori, dopo che mi venne posta una sacca sulla mia testa. Quando entrai nella stanza degli interrogatori mi tolsero la sacca dalla testa per farmi vedere i fili elettrici che erano attaccati ad una presa elettrica nel muro.
Gli interrogatori tornarono e mi misero a forza sopra una scatola di cartone che conteneva cibo in scatola. Poi collegarono i fili elettrici alle mie dita e mi ordinarono di allungare orizzontalmente le mie mani, allora collegarono l’elettricità. Mentre la corrente entrava in tutto il mio corpo, mi sentii come se gli occhi mi venissero strappati e volassero scintille. I miei denti sbattevano violentemente e anche le mie gambe venivano scosse altrettanto violentemente.  Tutto il mio corpo veniva scosso.
Mi vennero date scariche elettriche in tre sessioni separate. Nelle prime due venni sottoposto all’elettricità due volte, ogni volta per la durata di alcuni minuti. Nell’ultima sessione, mentre mi venivano date scosse elettriche, morsi accidentalmente la mia lingua e sanguinavo dalla bocca. Fermarono le scosse elettriche e venne chiamato un dottore per aiutarmi. Giacevo sul pavimento. Il dottore mise dell’acqua nella mia bocca e usò i suoi piedi per tenere aperta a forza la mia bocca. Poi osservò, “non c’è nulla di serio, continuate!”. Poi lasciò la stanza. Eppure le guardie finirono le scariche elettriche mentre sanguinavo copiosamente dalla mia bocca e c’era sangue su tutta la mia coperta e il mio corpo. Ma continuarono a colpirmi. Dopo un po’ di tempo finirono di colpirmi e mi riportarono nella mia cella.
Per tutto il tempo della mia tortura gli interrogatori facevano fotografie.
 
[Estratti della testimonianza fornita dal professor Ali Shalal, Ali Shalal, noto al mondo come "l'uomo incappucciato" che è stato torturato nella prigione di Abu Ghraib. Questa dichiarazione è stata presentata come prova nel procedimento iniziato a Kuala Lumpur contro il presidente Usa George W. Bush, il primo ministro britannico Tony Blair e il primo ministro dell'Australia John Howard, alla Commissione per i Crimini di Guerra stabilita sotto la guida dell'ex primo ministro Tun Dr. Mahathir Mohamad].
 
No, non è fascismo, è ‘patriottismo’. Maya è Kathryn Bigelow, per ammissione dello stesso Di Michele, “una personalità borderline all’acme della paranoia, senza variazioni di registro. In altri termini, Maya è un personaggio il cui essere coincide totalmente con la propria funzione: come quel personaggio kafkiano che afferma di sé ‘sono un bastonatore, dunque bastono’”.
 
    

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