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Looper - In fuga dal passato

Regia di Rian Johnson vedi scheda film

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La recensione su Looper - In fuga dal passato

di M Valdemar
6 stelle

Un loop macchinoso e un po’ ansimante in cui le ossessive e pulsanti lancette della narrazione descrivono ellissi temporali che si manifestano in tutta la loro forza rivelatrice solo alla fine, in un batter di ciglia e con l’ennesimo vero-falso avvenuto-futuribile (im)possibile carico di ricordi/premonizioni/eventi: Looper - In fuga dal passato si sospende nel tempo e nello spazio della visione per divenire oggetto dell’enigma che attraversa gli occhi dello spettatore chiedendogli (non senza un certa ambizione) attenzione e continuità d’azione concettuale.
Ma l’interruzione del cerchio perverso - risultato dell’immancabile irrinunciabile sacrificio - provoca un cortocircuito che fulmina all’istante qualsiasi transfert nonché reale interesse della (sempre interessante ancorché risaputa) materia primaria. Dai cui residui non rimane che un’unica stimolazione (che ha più i connotati della meccanicità che non della eccitazione elettrica), e che riguarda il destino del simpatico infante dallo sguardo innocente e dai potentissimi poteri psichici di scanner. Alla fine, dunque, si risolve tutta lì la questione; come se fosse stata immag(azz)inata una versione alternativa - e alterativa - del salvatore venuto dal futuro per salvare l’umanità (propria, innanzitutto, nel caso specifico).
L'apparizione del diavoletto in salopette, sul quale si concentrano inesorabilmente tutti gli elementi (e consueti annessi, quali mamma impavida e protettiva, difensore disposto a tutto, minacce, avversità), costituisce una svolta non prevedibile, forse nel tentativo di spiazzare, o fors’anche per non finire nel più classico (leggi: noioso, prolisso, stravisto) degli imbuti delle storie su viaggi nel tempo, paradossi, pieghe, conseguenze e quant’altro.
Non che il film pretenda fede e credibilità assolute, a cominciare dall’esperimento - più curioso che riuscito - dell’accettazione di Joseph Gordon-Levitt e Bruce Willis come rispettivamente la versione giovane e quella vecchia della stessa persona; perché ad un’opera del genere qualche concessione va necessariamente fatta. Però, al di là di un racconto che si fa talvolta farraginoso e convulso, pur mantenendo fascino e una determinata fluidità nella gestione del ritmo e della tensione, lo sviluppo degli accadimenti e dei personaggi si fa un po’ approssimativo e appiattito su modelli standard (ivi compresi gli spruzzi horror).
La definizione stessa dei comprimari (il cattivo Jeff Daniels, l’amico Paul Dano, il rivale sfigato Noah Segan, l’amante Piper Perabo) è deficitaria sia nello spazio dato che nel coinvolgimento che creano.
Poco male, si dirà, perché vedere (il durissimo a morire) Bruce Willis che imbraccia il fucile e da solo elimina un’intera banda di criminali, è sempre un piacere e il tifo è spudorato. Guardarlo struggersi per l’amore perduto e per questo risoluto persino a far fuori dei bambini (uno dei quali è lo “sciamano”, ossia il cattivissimo dominatore del futuro) più che spingere a qualche legittima riflessione lascia del sapore strano in bocca.
Anche dal confronto con Gordon-Levitt (limitato nel tentativo di imitare espressioni e pose willisiane e dal trucco eccessivo e talora disomogeneo) ci si poteva aspettare qualcosa di più, e certo è un peccato non averne saputo approfittare. La madre della creatura ha le fattezze di un’imbiondita e caparbia Emily Blunt, che ha in fondo il ruolo più complesso (il figlioletto porta un pochino di preoccupazioni …).
Tra scene degne di nota (ad esempio quella in cui la Blunt si tuffa per salvare lo spaesato Gordon-Levitt dalla furia distruttrice del bambino e l’esplosione di sangue conseguente), scenari del futuro così lontani dall’immaginario saturo stile Blade Runner (il che è positivo, perché dà un tocco realistico e riconoscibile nei suoi tratti più miseri), il buon equilibrio tra le componenti drammatiche e adrenaliniche, alcune falle nella sceneggiatura e lo scorrere incessante del tempo (l’orologio ha un rilievo fondamentale), Looper non sembra possedere la vitalità dirompente e l’arditezza compositiva che lo elevino dall’essere un semplice discreto prodotto d’intrattenimento.

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