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La bottega dei suicidi

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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La recensione su La bottega dei suicidi

di alan smithee
8 stelle

Ritrovare Patrice Leconte, regista non sempre, ma molto spesso meraviglioso, è un’emozione che vale quegli 80 km che mi separano dalla cinematograficamente stimolante città di Nizza, Francia, dove da un paio di settimane è in programmazione l’ ultima fatica del celebre cineasta. Un lavoro insolito per un regista tutto sommato poliedrico, che si confronta questa volta coni virtuosismi dell’animazione, qui di stampo meravigliosamente retrò e con riprese briose, vorticose e rutilanti ed una verve registica che non avremmo giurato potesse appartenere all’elegante e raffinato regista de “L’uomo del treno”, de “L’insolito caso di Mr. Hire” e de “Il marito della parrucchiera” (per citare i miei preferiti). Un “cartone” per adulti che rinsalda la ammirevole tradizione francese portata avanti con successo negli ultimi anni grazie al capolavoro di “Appuntamento a Belleville” e proseguita più di recente con il commovente riuscitissimo omaggio a Jacques Tati de “L’illusionista”. Una sorta di favola che nasce gotica e ci porta questa volta tra i grattacieli acuminati di una metropoli grigia e piovosa dove una umanità stanca e rassegnata “sopravvive” la giornata per arrivare a sera senza un barlume di serenità od ottimismo. Quando la rassegnazione raggiunge il culmine ecco che, nascosta in un vicoletto secondario, la “maison des suicides”, fornitissimo negozio per aspiranti suicidi, si presenta come il migliore rimedio per unasoluzione definitiva e spesso indolore…anche perché togliersi la vita per strada, ad esempio facendosi investire dalle auto in corsa, impariamo presto noi spettatori che non è consigliabile se non si vuole incorrere in ammende salate, recapitate senza pietà direttamente sul cadavere del suicida e che poi ricadono inesorabilmente sul groppone già piegato dei parenti superstiti, sempre che ne restino.

In questa tetra atmosfera gli affari per la famiglia ………. che gestisce da anni l’ormai celebre attività, vanno a gonfie vele, almeno fintanto che l’energica corpulenta moglie del titolare non da’ alla luce l’ultimo irrequieto e incomprensibilmente entusiasta maschietto. Il pargolo nasce ridendo, vive un’infanzia di continui entusiasmi che inquietano i familiari a dir poco sospettosi. E più il tempo passa, più il ragazzo costituisce un problema per la prosecuzione della fiorente attività del negozio.

Metafora riuscita, divertente e a tratti fin toccante di una vita che riesce a mettere da parte grigiori e depressioni in nome di una genuina gioia di vivere ed apprezzare il lato più semplice e genuino che l’essere umano spesso immotivatamente trattiene in se’, magari coinvolto e sfiduciato dalle mille problematiche di una vita moderna certo piena di comodità e agi, ma ciò nonostante sempre più difficile da sostenere, il grazioso film ci catapulta velocemente in una coreografia scatenata e colorata di canzoni, coreografie scatenate, balli e crepes “a gogo”, che fanno da contraltare all’atmosfera mortifera (e un po’ “burtoniana”) che aleggia malsana nell’inquietante prologo a volo d’uccello che fa partire la vicenda.

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