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Drift - Cavalca l'onda

Regia di Ben Nott, Morgan O'Neill vedi scheda film

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La recensione su Drift - Cavalca l'onda

di maurizio73
6 stelle

Fratelli australiani in fuga da un padre violento,si trasferiscono insieme alla madre  in una assolata cittadina del nord-ovest del paese negli anni '70, mettendo a frutto la loro passione per il surf tra l'impegno agonistico e l'azzardo di un investimento imprenditoriale. L'incontro con un carismatico fotografo hippy e la sua bella compagna hawaiana e lo scontro con una banda di riders locali dediti al traffico di droga saranno i catalizzatori di una crescita umana e sportiva che porterà alla ribalta mediatica ed al successo uno dei più grandi marchi sportivi del settore.
L'onda lunga di uno spiritualismo hippy che rivisita il mito sportivo e generazionale celebrato nel capolavoro di J.Milius ('Big Wednesday' -1978) si sposta idealmente dagli sterminati arenili west coast del continente americano alle insolite location delle frastagliate coste di quello australiano, in questa avventurosa saga familiare che strizza l'occhio al 'biopic da tavola da surf' (là era 'Bear' qui diventa 'Drift') e cerca di rinverdire i fasti di un genere che ha segnato l'immaginario culturale di intere generazioni di ragazzoni biondi e muscolosi, tra le istanze di un generico pacifismo lisergico e le declinazioni agonistico-balneari del sogno americano.
Prodotto di un buon lavoro di scrittura che omaggia in modo esplicito le tematiche e la struttura narrativa del film con William Katt e Gary Busey (la scansione cronologica dai sixties ai seventies, la travolgente colonna sonora rock tra classici vecchi e nuovi, gli in­serti in super-8 di un'autocelebrazione cinefila, le spettacolari evoluzioni tra tubi liquidi e montagne d'acqua, il finale di un glorioso amarcord sentimental-commerciale) è un film che tuttavia ricerca una propria originalità attraverso la caratterizzazione (non sempre riuscita e originale) di personaggi e situazioni che restituiscano il segno di un tempo ed un luogo della memoria da cui si origina il mito (uno sperduto paesino del Western Australia) di una passione umana e sportiva intramontabile, un'epica eroica che intreccia con studiato mestiere il tema precipuo della ribalta agonistica (il campione sportivo ed il sogno professionale) con la sottotrama di vicende familiari e sentimentali talvolta un pò forzate e pretestuose (i traffici di droga, le scaramucce con i bulletti locali, le pregiudiziali attenzioni della polizia locale, la rivalsa contro la miopia e l'avidità del banchiere locale) nella facile contrapposizione tra caratteri complementari (la concretezza del fratello maggiore e l'estro di quello minore) e nel sincretismo tra filosofie di vita (gli slanci di un idealismo mistico con il pragmatismo di un artigiano della tavola da surf). Non ostante questi clichè narrativi che strizzano l'occhio alle facili formulette del cinema americano ed al consueto happy end di un finale prevedibile, il meccanismo funziona anche grazie ad una regia attenta che alterna scene spettacolari e drammi personali, un montaggio calibrato che fa scivolare piacevolmente quasi 2 ore di film e soprattutto lo splendore di una fotografia che coglie la brillante policromia dell'inverno australiano fra tramonti mozzafiato e la ruggente protervia di una natura selvaggia e ostile. Big Wednesday to the other side. 

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