Espandi menu
cerca
C'era una volta a New York

Regia di James Gray vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Utente rimosso (Cantagallo)

Utente rimosso (Cantagallo)

Iscritto dal 30 novembre -0001 Vai al suo profilo
  • Seguaci -
  • Post 2
  • Recensioni 100
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su C'era una volta a New York

di Utente rimosso (Cantagallo)
4 stelle

Onestamente mi stupisce un po’ che "The immigrant" fosse in concorso a Cannes, poiché a mio parere non possiede i requisiti di un film da concorso se non nelle intenzioni (dichiarate più che effettive) di raccontare una vicenda di sfruttamento (più che di immigrazione) che peraltro lascia alla buona volontà degli spettatori la facoltà di costruire eventuali paralleli con le dure storie di immigrazione dei nostri giorni.


La giovane immigrata polacca Ewa Cybulski sbarca ad Ellis Island nel 1921 con la sorella Magda, che però è malata e viene trattenuta nel sanatorio dell’isola. Per non abbandonare la sorella e riuscire a pagarne le costose cure, Ewa accetta l’aiuto dell’ambiguo Bruno, che la induce prima ad esibirsi come bellezza esotica e poi a prostituirsi.


Interessato soltanto a raccontare la sua storia, James Grey passa come una schiacciasassi sui suoi personaggi lasciandoli talmente bidimensionali nella psicologia e nell’azione da non riuscire nemmeno ad essere ricattatorio. Per intenderci: Ewa giunge negli Stati Uniti dalla Polonia nel 1921 parlando inglese perfettamente, cosa che in via di principio non si può escludere ma che andrebbe almeno giusticata altrimenti sembra una scorciatoia, inoltre dopo solo un paio di battute iniziali sottotitolate il film è interamente in inglese, anche quando la ragazza parla con gli zii polacchi (e qui siamo dalle parti dell’errore grossolano a meno che non si siano sbagliati in fase di doppiaggio). Non è solo una questione di coerenza logica, ma anche di rispetto della tematica e di sensibilità: da un film che si intitola "The immigrant" e si presume assuma il punto di vista di Ewa non ci si aspetta una semplificazione che sacrifica proprio la portata umana e culturale di una storia di immigrazione e lo fa con noncuranza pur di non complicarsi troppo il lavoro di scrittura e di ottenere un risultato fruibile senza troppo impegno. E non si tratta soltanto della questione della lingua, il personaggio di Ewa non è caratterizzato psicologicamente come quello di chi affronta un mondo sconosciuto dopo un viaggio biblico: a parte non conoscere le strade di New York e addentare una banana con la buccia perchè non l’ha mai vista prima la donna non è connotata culturalmente nei modi, non si distingue dal contesto americano, non si percepisce a pelle il suo passato, non ci sono tracce di Europa nè tantomeno di Polonia in nessun aspetto di lei (giusto per confronto: fece un lavoro molto più serio Crialese quando in Nuovo mondo mostrò l’arrivo delle immigrate che si preparano allo sbarco vestendosi ognuna nell’abito tradizionale del paese di provenienza, conferendo così un minimo di credibilità e umanità ai personaggi). Ewa è una figura troppo semplificata che subisce una storia di sopraffazione con un’espressione appena un po’ dispiaciuta sul bel viso. Tengo a precisare che non è colpa di Marion Cotillard, che fa quel che può mantenendosi misurata e riuscendo, fortuna sua, sempre incantevole in ogni inquadratura. Non è secondario a mio parere avere risolto così sbrigativamente il tema principale del film, che come dicevo all’inizio mi sembra più una storia di sfruttamento – che poteva riguardare un qualunque soggetto debole – che non una storia di immigrazione.


E non è solo sul personaggio di Ewa che si risparmia impegno ma anche sugli altri e sulla sceneggiatura. Anche la sorella Magda, che funge evidentemente solo da "ostaggio", sparisce dalla scena con la reclusione in sanatorio (ha esaurito la sua funzione per cui non serve più) per poi riapparire solo alla fine quando bisogna chiudere la storia, nel frattempo ci si chiede come se la passi e come Ewa le faccia arrivare il denaro per le cure, ma non è dato di sapere. Stessa approssimazione per l’improbabile figura del mago Orlando, che entra dalla finestra al momento giusto (va be’, è un mago...) e nel tentativo di aiutare Ewa la mette prima alla berlina sul palco e poi involontariamente nei guai. Per il personaggio del malvagio Bruno non c’era bisogno di andare a scomodare il carismatico Joaquin Phoenix, che fa comunque un buon lavoro conferendogli almeno un po’ di peso, ma anche questa è una figura abbozzata e non chiara: è invaghito di Ewa, però la costringe a prostituirsi, però in qualche modo la rispetta nel suo negarsi a lui, è un farabutto ma non del tutto... Il film complessivamente tiene abbastanza nella prima parte, poi dal "fattaccio" in poi precipita in un melò che non mi ha minimamente coinvolto.


Mi dispiace sinceramente che una storia che aveva un ottimo potenziale (ambientazione storica, tema sempre molto attuale, attori interessanti) abbia avuto un esito così poco convincente, tanto che paradossalmente in questo caso il titolo italiano che evoca un incipt da favola risulta a mio parere molto più adeguato del titolo originale.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati