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Stoker

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su Stoker

di Stuntman Miglio
8 stelle

India Stoker non è una ragazza come le altre. Vede e sente cose che le persone normali non sono in grado di percepire. Nessun superpotere, piuttosto una spiccata sensibilità destinata a condizionarle indelebilmente l’esistenza. Il padre ne intuisce le origini in un incubo del passato e, per scongiurare le peggiori conseguenze ipotizzabili, tenta di canalizzare il talento della figlia attraverso attività che ne sviluppino la propensione ad isolamento e concentrazione. Questo sino al giorno del diciottesimo compleanno di lei, dopodiché il genitore scompare prematuramente in un incidente lasciando la propria erede nelle mani distratte di una madre infelice e di un misterioso zio sbucato dal nulla.
La prima trasferta americana di Park Chan-wook è un racconto di formazione omicida. Un intenso e perverso giro di valzer che segna il passaggio all’età adulta di un personaggio votato al male per diritto di nascita. Un film di sensazioni malsane e di dubbi instillati nel subconscio, una tragedia familiare destinata ad implodere. Un ménage à trois dall’andamento hitchcockiano, cosparso di tentazioni e gelosie disturbanti. Morboso, ineluttabile, immorale. Dannatamente intrigante. Cinema imponente e suggestivo che a tratti puo' ricordare il De Palma di “Carrie”, dotato di una prima parte in grado di travolgere per fascino visivo lasciandoti poi in balia di un inquietante e proverbiale guilty pleasure. Raffinati movimenti di macchina in punta di sguardo, gusto pittorico per inquadratura e scelte cromatiche, estrosa composizione d’immagine in campo medio, cura maniacale del dettaglio, strepitosi montaggi in parallelo per associazione. C’è di che godere in “Stoker”, questo ammesso che si vinca la tendenza a fraintendere un girato virtuoso con un mero e banale esercizio di stile. Ad ogni modo il regista coreano del celeberrimo “Old Boy” si conferma cineasta di gran talento (prendete semplicemente ad esempio anche gli splendidi titoli di testa), in grado di rimestare nel torbido anche sotto commissione mainstream e alle prese con celebrità di primo piano come Nicole Kidman. Efficace, peraltro, la prova dell’attrice, così come quella di Matthew Goode, perfettamente calati – anche esteticamente – nelle ambiguità dei rispettivi personaggi adulti. Mia Wasikowska, candido fiore macchiato di sangue, è invece calzante incarnazione di metamorfosi adolescenziale, una musa di malvagia innocenza in procinto di librarsi nel mondo. Con effetti devastanti.

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