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Il padrino

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Il padrino

di Decks
10 stelle

Ci sono alcuni film che non hanno bisogno di presentazioni e, forse, nemmeno di recensioni.

Uno di questi è sicuramente "il Padrino" di Francis Ford Coppola, la cui importanza e bellezza è riconosciuta pressochè da tutto il mondo; in più, se si pensa all'impatto che ebbe nel nostro paese, tanto che dall'immagine stereotipata dell'italiano simil-Alberto Sordi (furbetto e caciarone) si passava a quella dei mafiosi con l'accento siculo e il forte rispetto per la famiglia.
La potenza del "Padrino" a livello cinematografico, iconico, rapsodico e contenutistico non può esser messa in discussione e, anzi, ciò che aggiungerò qui sotto non basterà mai a far comprendere l'importanza di una simile opera che va vista e amata.

 

Iniziamo dalla genesi del film, in questo caso è, infatti, di interessante rilevanza: Mario Puzo fu uno scrittore italo-americano, che, ovviamente, scrisse l'omonimo romanzo basandosi sulle sue dirette esperienze di giornalista e sulla vita trascorsa a (come ebbe a definirla lui) Hell's Kitchen, la cucina d'inferno di Little Italy.

Egli trattò per lo più vicende sull'immigrazione italiana (con "Mamma Lucia") e della mafia, influenzando così tanto quest'ultimo tema che introdusse terminologie ormai tipiche del gergo malavitoso quali "caporegime" o "omertà". Solamente Sciascia, a mio dire, riuscì a immedesimare e far comprendere meglio al suo pubblico di lettori cosa fosse la mafia, come agiva, sviscerando una struttura piramidale che faceva fronte al Don con tutti i suoi sicari.

 

« "Ragionerò con lui." insistette Corleone

Negli anni a venire, questa frase divenne celebre. Era destinata a divenire un campanello d'allarme prima di un colpo mortale. Infatti, quando era divenuto Don, e chiedeva agli avversari di sedersi attorno a un tavolo per ragionare con lui, essi capivano che era la loro ultima possibilità di risolvere un affare senza spargimenti di sangue e morti. »

 

 

Il film non partì nel migliore dei modi: non c'erano molte aspettative per l'allora semi-sconosciuto Francis Ford Coppola, la Paramount non avrebbe mai immaginato un successo così grande, in particolar modo perchè attori e tecnici erano, per la maggior parte, o alle prime armi o dei principianti.

Questo è sicuramente un altro motivo per ritenere "il Padrino" di grande peso nell'industria cinematografica, difatti, oltre al portentoso regista, lanciò alcuni dei più dotati interpreti e tecnici degli anni 70-80, tutto questo con poca convinzione da parte della casa produttrice.

Stiamo parlando di persone del calibro di Al Pacino, James Caan, Robert Duvall, Diane Keaton e John Cazale, più Marlon Brando che malgrado fosse il più conosciuto di allora, ebbe nuova linfa alla sua carriera dopo il ruolo che lo farà passare alla storia e un direttore della fotografia quale Gordon Willis (affermatosi del tutto con Woody Allen) e il bravo scenografo Dean Tavoularis.

 

Tutti perfettamente in parte, tutti meravigliosamente dotati e indimenticabili.

Il motivo risiede nel modo in cui viene messa in scena questa storia sulla famiglia Corleone impiantata a New York: non è, infatti, una criticata e scomoda realtà storica, quanto una tragedia shakespeariana, in cui, diciamocelo, si fraternizza con questi cattivi pieni di charme e drammaticità, tanto dal rimanerne succubi ed estasiati. 

Su tutti vi è l'impareggiabile Marlon Brando: il suo Don Vito Corleone è uno dei personaggi più amati della storia del cinema. Autoritario, cavernoso, ma con un certo senso dell'onestà e della legalità che lo rende quasi signorile, tanto dal voler rinunciare alla droga che distruggerebbe dei valori imprescindibili per la mafia, intesa in un senso più nobile.

Una premonizione che non poteva essere più vera riflettendo sul giorno d'oggi, dove proliferano gang e organizzazioni malavitose senza regole che fagocitano qualunque cosa nella sua strada; una macchina mangia soldi che non si ferma neppure di fronte alla sacralità dell'infanzia.

Allo stesso tempo, Don Vito, rivela un carattere cordiale e premuroso nei confronti della sua famiglia: un cambio d'abito da uno smoking stretto ed elegante a una camicia con delle bretelle e l'austero capo mafioso si trasforma in un nonnino siculo che gioca col nipote nel campo di pomodori.

 

« Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare»

 

 

Per non parlare dell'innocente e impacciato Michael: il suo volto pieno di nervosismo e apprensione cambia radicalmente in uno sguardo spento e glaciale che non risparmia nessuno, nemmeno amici di vecchia data.

Gli occhi sanguigni del burrascoso Sonny, che dà libero sfogo a tutta la sua aggressività in una strada agli occhi di tutti: la sua figura di capo crolla in questa meravigliosa scena in cui quell'accanimento così marcato ci resta impresso fino in fondo alle ossa.

L'esile e pavido Fredo, troppo fragile per poter sperare di avere un ruolo importante nella cosca mafiosa, che non riesce neppure a impugnare una pistola per difendere il padre senza esser preda di forti tremolii.

L'equilibrato Tom Hagen, che rimane a metà tra un lucido avvocato, occupandosi dell'ordinaria e (soprattutto) della straordinaria amministrazione della famiglia, per poi diventare un saggio fratello maggiore dai buoni consigli.

 

Questa è la forza del "Padrino", non tanto il trattare dei criminali come una conseguenza e un tumore della società, quanto scaraventarci in un mondo a sè stante, fatto di regole insensate; dove l'onore e il rispetto sono gli unici flebili divisori che trattengono assassinii e mostruosità; dove i personaggi sono macchiettisti di trasudante carisma che non possono uscire da questo microcosmo delittuoso e malvagio, pena il dover soccombere alla spietatezza o alla morte.

Ecco perchè è il film più fascinoso e il migliore dei tre: proprio perchè lascia maggior spazio alla caratterizzazione di questi stravaganti pezzi da novanta che sembrano usciti da Otello o Amleto.

 

 

Se poi vogliamo parlare dei tecnicismi del Padrino, ci si potrebbe scrivere un libro: malgrado non sia la prima pellicola appartenente al genere "gangster" (quel primato appartiene a "Nemico Pubblico" del 1931) sarà comunque preso d'esempio per tutti i successivi film che trattano la criminalità organizzata: sia dal lato registico, scenografico, sonoro e così via.

Della sceneggiatura sapiente e pittoresca abbiamo parlato in precedenza: oltre ad un ritmo sostenuto grazie ad una prima parte che si occupa per lo più di presentare i personaggi della famiglia, si passa ad un susseguirsi di eventi strepitosi nei quali è palpabile una forte tensione emotiva, tanto ci siamo affezionati a questi gigionici personaggi.

Numerosissimi i momenti clou, in cui i dialoghi scritti da Mario Puzo e Coppola la fanno da padroni per il loro gergo criminoso, misto a parole lievi e rassicuranti che celano in realtà inganno e minacce quali: la condanna a morte di Carlo Rizzi, celato come atto misericordioso, lo smascheramento di Tessio o il furioso viaggio in macchina di Sonny.

 

La fosca colonna sonora composta da Nino Rota non ha bisogno di particolari menzioni: basta nominarla perchè sovvenga immediatamente quel motivetto di violino che rimarrà indissolubilmente legato, non solo alle facce di Michael e Vito, quanto alle tematiche malavitose.

Da ricordare anche la fotografia di Gordon Willis: nonostante fosse ancora alle prime armi, riesce a realizzare un ottimo lavoro soprattutto sulle sequenze notturne o in penombra, contribuendo ad alimentare i conflitti interiori dei protagonisti o ad accendere situazioni di estrema suspense.

La sua mano è presente in qualsiasi dettaglio: dal volto in ombra di Don Vito, all'oscurità dell'abitacolo dell'automobile che cela una mortale garrotta, fino ai corridoi vuoti e poco illuminati di un ospedale, e la lista sarebbe ancora lunga.

 

 

Ho lasciato volutamente alla fine la regia di Coppola perchè ritengo che essa sia sublime: c'è poco da dire su uno stile di ripresa che maestri del calibro di Kubrick e Scorsese elogiarono, io mi aggiungo solo ai complimenti, sottolineando di come Coppola abbia dato sfogo a tutto il suo estro creativo re-inventando zoomate, primi piani e un notevole dinamismo grazie ad un montaggio incalzante che lascia degli echi kubrickiani.

In particolare mi voglio soffermare sui due battesimi che Coppola riprende alternativamente: oltre ad esservi un rilevante contrasto tra dio/morte, vi è intriso tutto il significato del film. Quel dualismo tra le due famiglie di Michael: in una assistiamo ad una funzione religiosa, nell'altra una serie di brutali omicidi che hanno come scopo la nascita di un nuovo padrino.

Delle esecuzioni permeate da una cupa poesia, conferita dall'ottima scelta di mantenere la voce solenne del prete durante i brutali omicidi che danno un che di celestiale alla crudele presa di potere di Michael.

 

Un film senza tempo, che come stile di narrazione segue quella di una tragedia avente gli stessi inverosimili e fascinosi personaggi, ma proprio per questo i Corleone diventano più complessi e più sfuggenti.

Un comparto tecnico strepitoso i cui elementi saranno ripetutamente ripresi e reiterati in decine di film, a cui si sommano le numerose sequenze (incredibilmente quasi tutte!) che rimarranno impresse nell'immaginario collettivo per sempre.

Una vera e propria pietra miliare del cinema.

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