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Lockout

Regia di James Mather, Stephen St. Leger vedi scheda film

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La recensione su Lockout

di Enrique
6 stelle

Ad un pericoloso, irriverente criminale viene offerta la possibilità di scampare all’esecuzione di una pena molto spiacevole. Salvare una persona assai speciale che si trova nel posto più indesiderabile del sistema solare. La missione suicida ideale da affidare ad il redivivo Jena Plissken? No. Ma ad un suo ligio epigono sì.

Nella fattispecie, l’ex 007 agente Snow, interpretato con gran “classe” da un buon Guy Pearce, il quale, in un ruolo tutto muscoli e battute al vetriolo, rende benissimo. O quantomeno la sua personalità non è stata svilita da una sceneggiatura bruttina (ma non sotto la media dei film di genere).
Come l’incipit in medias res, che parte con il piede sbagliato a causa degli effettacci che non ti aspetti (da uno sci-fi che si rispetti - ma, in effetti, non è scontato che sia il caso di Lockout - il formato “videogioco” deve essere disattivato) che rendono indigesti i postumi di un intrigo spionistico con (nondimeno) discrete potenzialità. O come il casting degli antagonisti, che lascia non poco a desiderare (più per i limiti di regia e sceneggiatura nella stereotipata caratterizzazione della coppia dei criminali che assumono le redini della rivolta che per effettiva colpa dei rispettivi interpreti).
Ma (a proposito del casting, ben riuscito quando si parla dei protagonisti), in secondo piano non può essere relegata la “cosa” migliore del film. La coprotagonista con cui duetta il pompato Pearce, ovvero Maggie Grace (tanta, ma tanta roba). La sua presenza dà (letteralmente) senso al film.

 

In definitiva, Lockout parte in sordina, ma pian piano, un tassello alla volta, costruisce, dalle ceneri dei suoi illustri predecessori, un pezzo di cinema altrettanto degno, che attrae il buongusto cinefilo degli amanti del genere (molto action e poco cervello) e merita di essere apprezzato fino all’ultimo, ovvero fino all’ultima scena (che ha il coraggio di non scadere nel patetico annunciato: supadany). Sempre grazie a “lei” (fra l’altro).

That’s entertainment!

 

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