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Quella casa nel bosco

Regia di Drew Goddard vedi scheda film

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La recensione su Quella casa nel bosco

di supadany
6 stelle

Parafrasando, e mutando, il titolo di un film (irrilevante) di qualche annetto fa si potrebbe dire che “non è il solito stupido horror americano”, o almeno a tratti lo sembra anche, ma poi c’è sempre qualche variante a scompaginare gli equilibri ed in una visione allargata del mondo horror è lapalissiana la mano del re Mida Joss Whedon (qui nelle vesti di produttore).

Un gruppo di amici decide di trascorrere qualche giorno di relax fuori porta, ma ben presto si troveranno ad avere a che fare con creature con l’unico obiettivo di eliminarli.

Quando proveranno a fuggire capiranno di essere finiti in una situazione assai più grande di loro.

 

 

Un saccheggio in piena regola quello perpetrato dagli sceneggiatori, infatti all’interno del film ci si trova davvero un po’ di tutto, dal burattinaio che gestisce l’azione (“Saw”), alla situazione logistica (“Cabin fever”), dalle creature antagoniste (“Zombi”), alle metodologie di eliminazione della prima parte (uno slasher vale l’altro) senza ovviamente tralasciare la classica combriccola assortita di giovani (la facilotta, l’atleta, il tossico, la “vergine” (come si dice sul finale non sarà proprio vergine, ma visti i tempi è difficile trovare di meglio) e l’intellettuale) che si ritrova preda di un piano più alto.

Ed è per questo che anche nella prima parte il film riesce a stare in piedi nonostante le solite stupidità ed esemplificazioni anche madornali, proprio per lo stridere tra il cinismo (per esempio con le scommesse su quale sarà la categoria di mostri liberati) di chi se ne sta dietro le quinte e la foga di chi annaspa per non morire cercando di capire cosa stia capitando.

Ma il vero e proprio “luna park” ha luogo nell’ultima mezz’ora, con una passerella di mostri senza fine, uno splatteraggio totale ed una spiegazione “alta” che probabilmente non è giostrata poi con estrema convinzione (non è questione di stare al gioco, ma della mancanza di un crescendo comunicativo).

Però il “gioco” funziona con gran scaltrezza, certo che visto il contesto il fatto che la tensione vera e propria alloggi da altre parti è una pecca non trascurabile.

Rimane un prodotto che da un classico incipit riesce a rigenerarsi copiando (molto) ed inventando (qualcosa) all’insegna dello spettacolo più sfrenato.

Di questi tempi c’è più da rallegrarsi che pensare alle manchevolezze (che non mancano affatto).

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