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The Master

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su The Master

di hallorann
6 stelle

Fred Quell è un marine con disturbi della personalità, legati alla sessualità e alla socialità. In una scena masturba e mima un atto sessuale su un pupazzo-donna di sabbia sotto gli occhi di altri commilitoni. Terminata la guerra si dimostra rissoso, incline all’alcol (un’eredità paterna), cambia diversi mestieri, si innamora di una ragazzina che perderà per sempre una volta imbarcato su una nave. Dopo una sbronza viene accolto e salvato da Lancaster Dodd, un tuttologo ante litteram che viaggia con un suo gruppo di fedelissimi compresi moglie e figli già grandi. Egli è a capo di una setta tra il mistico e il filosofico chiamata la Causa. Freddie viene preso in simpatia da Dodd, grazie anche ad un intruglio alcolico simile ad una droga che se preso in doti eccessive si trasforma in veleno. Tra i due nasce un’amicizia basata sull’accondiscendenza (da parte dell’ex marine) e sull’esperimento (da parte di Lancaster). Si può controllare la violenza degli istinti? E’ quello che intende fare Dodd con la sua disciplina, sottoponendo il nuovo “adepto” ad un primo interrogatorio - analisi - controllo del suo pensiero. Dapprima l’alcol, poi di nuovo l’istinto violento e animale insito in Quell mineranno o perlomeno renderanno problematico il suo cammino di rieducazione/redenzione.



Paul Thomas Anderson racconta uno spaccato o meglio una variante del sogno americano concentrando il suo sguardo su due personaggi lasciando sullo sfondo la Storia. Una scelta autoriale vincente che in THE MASTER, invece, non ha ripetuto l’empatia creata dalle precedenti opere. Non che il regista de IL PETROLIERE non abbia le capacità di intrattenimento intelligente, stavolta è mancata la crasi tra pubblico e critica. Nello specifico la materia (la storia non ufficiale di Scientology) invade l’astrazione: è possibile controllare le menti delle persone? In generale ma soprattutto quelle deboli? Al termine della seconda guerra mondiale Fred è l’archetipo, il reduce debole con i nervi a pezzi, una cavia per la Causa da ammaestrare. Lui equivoca il suo ruolo: chi non condivide, chi mette in dubbio il pensiero, l’aria fritta di Lancaster lo punisce alla stregua di uno scagnozzo con l’unica arma che dispone, la violenza. L’amicizia interessata, osteggiata da Peggy e famiglia, ai fini della setta è una sfida per il guru Dodd, gli sfuggirà ma sarà un fallimento su cento. La Causa può proseguire anche senza la mina vagante Quell. Il lato umano viene sacrificato. I riferimenti all’antipsichiatria della discussa organizzazione Scientology sono palesi, come ad altre branchie della stessa associazione, come qualche richiamo ai testimoni di Geova. Nonostante la perfetta ricostruzione storica, le prove superlative di Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman (per me alla pari e da apprezzare in lingua originale), ad Anderson manca l’equilibrio che non ha la psiche di Freddy, l’epicità di altre prove, o più concretamente un quid (anche nella narrazione) che lo renda memorabile.

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