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Vita di Pi

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su Vita di Pi

di Raffaele92
7 stelle

Il cinema di Ang Lee insegue sempre la magniloquenza dell’immagine. Da “La tigre e il dragone” (2000) a “I segreti di Brokeback Mountain” (2003), la ricerca del cineasta si è sempre rivolta alla costruzione di tableaux vivants che ammaliassero lo sguardo. Nell’ambito dell’espletamento di tale poetica, “Vita di Pi” si presenta come il punto più alto della carriera di Lee.

Certo, non è squarciato dai dilemmi morali di “Brokeback Mountain”, né tantomeno vive di quella bruciante passione per il melò che ha animato – oltre ai suoi precedenti due film già menzionati – quel capolavoro che è “Lussuria” (2007).

“Vita di Pi” è puro racconto di formazione: corretto e pulitissimo, ma emozionante, coinvolgente e – soprattutto – innegabilmente perfetto nel suo dispiegarsi. Per questi motivi, il suddetto film ha compiuto il miracolo di aver ridato dignità a un grande genere che da troppo tempo ormai era sepolto sotto la patina di superficialità fracassona di discutibili produzioni Blockbuster: l’avventura. Quella autentica, in grado di aprirsi a squarci di meraviglia paesaggistica che si fanno specchio dell’anima dei personaggi; quella dove uomo e animale sono speculari nel bene e nel male, ma dove il primo si trova a dover affrontare da solo i lati selvaggi quanto quelli benevoli della natura. In quest’ottica, il rapporto che si viene progressivamente a instaurare tra Pi e la tigre del Bengala altro non è che la messinscena di una delle storie di amicizia più toccanti e “sentite” di sempre.

Costantemente attraversato da una forte componente nostalgica il cui impatto è rafforzato dalla scelta della struttura a flashback, questo film è il canto di un trionfo e soprattutto un inno al coraggio che (con sommo stupore degli spettatori) nel finale lascia posto a una non trascurabile riflessione sul concetto di verità, sulla scissione tra ciò a cui vogliamo credere e ciò che invece torna necessario credere. In questo modo il cinema stesso viene chiamato in causa in quanto, esattamente come il (o un qualsiasi) narratore, è “dotato” della somma capacità (che potremmo definire onnisciente) di creare, modellare e plasmare questa verità a insaputa di chi ascolta (o guarda).

A chiunque poi, nonostante ciò, continui ad accusare quest’opera di perseverare nell’ostentamento di una narrazione classica eccessivamente patinata e prevedibile, ricordo come essa invece si riveli addirittura – e questo è un ulteriore punto a favore – sorprendentemente fuorviante. Quando infatti sembra imboccare la strada di una mielosa storia d’amore, ecco che allora cambia totalmente direzione e – partendo dal naufragio – si trasforma in una sorta di – seppure edulcorata – survival story.

Peculiarità narrative a parte, “Vita di Pi” è una pellicola lungimirante perché attraverso di essa il regista – sotto sotto – compie un sentito omaggio alla Settima Arte, a quello di cui essa si può far portavoce in termini visivi, alla sua capacità di regalare spettacolo genuino e di aprirsi all’emozione, ai prodigiosi sviluppi che lo sviluppo della tecnologia (le) ha concesso. Sì, perché “Vita di Pi” è anche e in particolar modo un’esibizione straordinariamente sconcertante di effetti speciali di fattura tecnica miracolosa. Proprio per questo, la visione della suddetta opera acquista un senso compiuto solo se gustata su grande schermo. Basti pensare alla spettacolare sequenza del naufragio e a quella altrettanto fenomenale della tempesta che a Pi toccherà di affrontare da solo, ai giochi di specchio tra il cielo e l’acqua, a tutta la parte ambientata sull’isola dei suricati, agli effetti fluorescenti nelle sequenze notturne che tanto ricordano “Avatar”.

Rimane poi spazio anche per l’esaltazione (mai manieristica, bensì attenta e sensibile) di costumi e tradizioni indiane, nella prima parte del film ambientata a Pondicherry, dove una fotografia notevolmente luminosa dona verve all’immagine e magnifica gli sguardi nei primi piani.

In definitiva un film per tutte le età, che si presenta come l’affascinante viaggio in un mondo incantato e inesplorato, forte di ispirazioni letterarie che spaziano da certe opere di Conrad (in termini abbozzati) al “Libro della giungla” di Kipling (qui invece in maniera molto più consistente).

Una stupenda opera che sceglie di essere un atto di amore per il ricordo piuttosto che un’elegia del rimpianto.

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