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Chronicle

Regia di Josh Trank vedi scheda film

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La recensione su Chronicle

di PompiereFI
8 stelle

Cosa ci fanno Jung e Schopenhauer a una festa di giovani che ballano perforati dalle stroboscopiche? Niente. Non potendo mettere il silenziatore ai decibel, cercano di far colpo su una giovane di belle speranze tutta presa a girare il documentario della sua vita (ma quale?), fallendo miseramente sotto i colpi stordenti delle onde sonore e dello sballo anfetaminico. I risvolti psicologici e filosofici, però, non si arrendono qui. Tengono emotivamente alle interferenze magnetiche, ai lampi di luce e ai colpi di sole, per ripresentarsi verso la fine, quando il protagonista Andrew sarà costretto a guardarsi dentro.

 

Lui e i suoi due amici hanno involontariamente acquisito capacità telecinetiche ma, al contrario di certi supereroi comuni, non vestono calzamaglie e non hanno l’intenzione di salvare il mondo. Esplorando il confine tra normalità ed eccezionalità, in uno scontro tutto interiore senza precedenti, incorporano la fantasia agli aspetti reali della vita e alla fragilità della società contemporanea. Così, tra un gioco e una sperimentazione, finiranno per subire gli effetti di alcune controindicazioni.

 

Debutto in un lungometraggio per il 27-enne Josh Trank, assistito alla sceneggiatura da Max Landis (figlio di John), “Chronicle” sembra assumere il sapore dei ristagni “cloverfieldistici”. Poi, per fortuna, afferra qualcosa del “Carrie” di De Palma e costruisce un intarsio interessante fatto di piccole telecamere che si rincorrono l’una con l’altra, alternandosi al neutrale punto di vista registico. Il quale, solo per brevi momenti, si concede il privilegio dell’inquadratura, quasi sempre estrosa.

 

La complessità della prova sembra appena percettibile. In realtà si può tranquillamente parlare di avanguardismo visivo, caparbiamente laborioso, che tenta di sottolineare l’urgenza, anzi l’indispensabilità, del “vedere”. Con la macchina da presa spenta i nostri occhi sarebbero irrimediabilmente tagliati fuori, invece qui sono eyes wide shut che entrano in simbiosi con Andrew, mosso continuamente verso l’ossessione per l’auto-attestazione, l’assalto al gradino più alto del podio della gara per l’ottenimento della gratitudine. Andrew crede che nessuna opinione potrebbe sorgere dentro di lui senza l’approvazione e il consenso degli altri; nessun pensiero autonomo e solitario potrebbe renderlo felice. E in tal modo ricorre a quell’interpretazione-immagine rassicurante che solo la telecamera può infondergli.

 

Alla fine la propaganda per la conquista della maturità è attenuata dalla necessità di battere un territorio già conosciuto, di ritornare verso un appagamento basico e allettante attraverso una serie di soggettive, uno stacco, poi una nuova telecamera e un’ultima inquadratura fissa. Trank non ha azzardato abbastanza e si adagia su un rave-movie devastante mancando l’appuntamento con l’after-hour; evento che avrebbe potuto rendere la sua opera un piccolo capolavoro.

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