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L'occhio che uccide

Regia di Michael Powell vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'occhio che uccide

di giansnow89
9 stelle

Viaggio nella contorta psiche di un'anima perduta.

L'occhio che uccide è nient'altro che la risposta crudele e malata all'albionica ed elegante ironia de La finestra sul cortile. Laddove il voyeurismo nel capolavoro hitchcockiano è la chiave di volta che fornisce la soluzione allo spinoso caso del film (e perché no, strumento di riscatto per lo squattrinato fotoreporter), nel cult di Powell è pulsione malsana, motivo di sofferenza, ostacolo insormontabile per l'ingresso nella vita reale, consapevole cagione dell'autoannullamento del protagonista. In Rear Window si sostanzia come divertito occhio esterno aperto sui piccoli fatti del microcosmo del vicinato, e la morte, l'assassinio si insinuano nel film quasi come alterità rispetto a tutto il resto, non sono componenti preponderanti ma solo comprimarie. Inolte, l'occhio umano, talora supportato da un opportuno binocolo o da una macchina fotografica, non è invasivo, tutto passa e non rimane quasi nulla impressionato. Jeff spia per curiosità personale, non per intervenire nelle altrui vite, se non nell'eccezionale caso in cui annusa odore di bruciato. Nella pellicola in oggetto tutto viene ribaltato: Mark (Boehm) riprende la paura delle sue vittime, ne cattura il tanfo e se ne nutre e se ne duole contemporaneamente; la cinepresa diventa addirittura essa stessa strumento di morte. Diventa soprattutto strumento di realtà, la più vera che esista. Perché in tutti i suoi disordini psichici, Mark è anche un ambizioso: il sogno della sua vita è dirigere un film, e in un certo senso contrappone la sua creazione a certi filmucci di maniera di cui quelli prodotti nello studio in cui lavora come operatore sono sarcastica parodia (nemmeno troppo). Attricette vanitose e annoiate, registi con poca fantasia, sceneggiature insulse: a esse Mark sbatte in faccia la verità del suo cinema, terribile ed autentico. Mark è una vittima-carnefice: spia e infine uccide perché non sa e non può fare altro per colmare il vuoto desolante della sua anima. E' un uomo mai cresciuto, fermatosi all'incubo della sua infanzia e che a quell'incubo reagisce ricambiando con la stessa moneta, non sognandosi nemmeno di superarlo, di andare avanti. Non basta il civettuolo ma disinteressato affetto che gli dimostra la sua inquilina, Helen (Anna Massey): la sua vita ormai è perduta e ha una data di scadenza, Mark è conscio del suo destino e nulla fa per non andargli incontro. Riprendere la propria morte è la sublimazione suprema della sua follia, la sua amata e odiata cinepresa interviene nella sua vita ponendole fine e diventandone autobiografia ed epitaffio. 

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