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Le notti di Cabiria

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su Le notti di Cabiria

di OGM
10 stelle

La grandezza del primo Fellini è il genio che trasforma la miseria in un’energia ruspante, intrisa di una grazia poetica priva di solennità, ma carica di autentica gioia. L’adesione alla realtà degli ultimi è, per Lui, espressione di una profonda fede nella luminosa dignità della gente semplice, la cui speranza resiste ad ogni disavventura, perché non smette mai di credere ai miracoli. Maria Ceccarelli, alias Cabiria, prima di essere una donna, un’orfana, una prostituta, è una creatura del popolo, che condivide con i suoi simili la stessa voglia di riscatto, la stessa fiduciosa attesa che la vita manifesti quella bontà che, nonostante tutto,  deve necessariamente appartenere alla sua essenza. Lo spettacolo circense, la sagra paesana, la processione religiosa sono i luoghi felliniani in cui questo ottimismo ingenuo e trasognato prende forma e colore, e si cala, anche se un po’ grottescamente, nell’esistenza vera, per ricordarle come potrebbe essere e come quindi, un giorno, certamente sarà. Mettendolo in scena, il desiderabile diventa possibile: il numero dell’illusionista ipnotizzatore è la prova che la bellezza e la felicità scaturiscono, come gemme incontaminate, da teatri e baracconi; eppure sono solo stelle cadenti,  il cui volo è destinato a spegnersi pesantemente sulla terra. Il pubblico che applaude, la folla che con balli e canti partecipa alla festa, la calca dei fedeli che adorano la Vergine, è l’umanità che non si arrende, la cui positività non si piega all’evidenza del male dilagante e della povertà come condanna inappellabile. Non c’è nulla che la induca a rinunciare al divertimento, al sorriso, alla preghiera, anche quando questi vanno apparentemente contro ogni logica. Le notti di Cabiria è, nella straordinaria figura della protagonista, la celebrazione della vita che non si lascia spezzare dal dolore, né mutilare dall’umiliazione; ma all’occorrenza indugia, con femminea morbidezza, a leccarsi timidamente le ferite.

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