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George Harrison. Living in the Material World

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su George Harrison. Living in the Material World

di FilmTv Rivista
8 stelle

«Vai avanti, George, vai e vola lontano. Liberati e... vai». Queste le prime parole della monumentale geografia dell’universo Harrison che Scorsese, ben dietro le quinte, compone seguendo i vettori (opposti, coesistenti) della profondità e della trascendenza. Un racconto cronologico che parte da quegli anni 60 in cui George rappresenta il lato timido, introspettivo, radicalmente (mai istituzionalmente) spirituale dei Beatles. Decennio di insofferenze e di prime pagine che stuzzicano Paul&John ma non (del tutto) lui, ragazzo in cerca di un altrove mentre la sua chitarra dolcemente piange. L’ex moglie Pattie Boyd e i Fab McCartney e Starr ci guidano in un percorso immersivo tra filmati in gran parte inediti che progressivamente si staccano dalla superficie beatlesiana per raccontare i lisergici 70, quando Harrison - vivendo (da ribelle) nel mondo materiale - insegue un rapporto mistico e personale con Krishna. Tutte le cose devono morire, canta con voce morbida inaugurando con il capolavoro All Things Must Pass (appunto) un’illuminata carriera solista. Ecco allora le testimonianze di Clapton, Voormann e Spector, compagni di una nuova era in cui i soldi vengono reinvestiti in cause umanitarie. The Concert for Bangladesh (1971), tra le pagine live più alte del rock, è anche il primo atto di beneficenza disinteressata dell’establishment musicale. Ravi Shankar («La prima persona che mi impressionò davvero») aiuta Harrison a elevare lo spirito grazie a Maharishi Mahesh Yogi, al sitar, alla meditazione trascendentale. George cerca il mantra e ben si guarda dall’oscurità, in un viaggio esistenziale che Scorsese mappa tracciando le direttrici della musica, del cinema (le produzioni con i Monthy Python) e della vita con Olivia, compagna di ricerca fino alla morte. Più che un documentario, un’esperienza che dal piano sensoriale scivola dolcemente verso il limbo tra dimensione terrena e qualcosa di più. Gli occhi di Harrison diventano portale, apertura sullo sguardo interiore che l’arte fa uscire allo scoperto, in stati di grazia che vorremmo durassero per sempre.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 16 del 2012

Autore: Claudio Bartolini

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