Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
È raro essere sorpresi da un'opera così tragica, realizzata con scarti di senso, di sogni, di entusiasmi smorzati, e dove i bambini sono presi nel tritatutto che è questo mondo di imposture e inganni che da noi stessi ci siamo costruiti. Luciano inizia tutto per amore di sua figlia, le vuole regalare una speranza, un sogno bellissimo, che sempre se ne va al mattino appena svegli, o sulle ali di un elicottero che sta portando via semplicemente una immagine ingenua. Lo sguardo transgender di lui rimane assorto a guardare andare via lo specchio immaginario che si vorrebbe essere, non sopportando il limite di essere uomo, mortificato fin nell'intimo dall'impossibilità ad essere tutto, uomo e donna insieme, carne e immagine profana, tenero padre e figlio perso nel capriccio di voler andare a Disneyland, un parco giochi molto prossimo, se si tratta semplicemente di andare a Cinecittà. I silenzi sono magici, e lo sguardo di Garrone allo stesso modo di quello di Antonioni non vuole interrompere il dopo dell'evento, quando si ritorna a casa da cinecittà e si è convinti di aver sedotto il circolo empireo di angeli a guardia del paradiso immaginario; oppure nell'attimo sospeso in cui ci si interroga sulle vere apparenze della realtà, e il cielo cade addosso alle percezioni del nostro sbandato personaggio. La sequenza finale dell'introduzione di Luciano nella casa, ha qualcosa di magico che mi ricorda -mutatis mutandis- il tunnel di luci finale in '2001' prima di ritrovarsi nel biancore dell'appartamento in cui il cosmonauta troverà la sua rinascita. Oppure 'Solaris': Kelvin appena sbarcato sulla stazione spaziale vaga cercando i resti della ciurma. Luciano non vuole trovare nessuna rivelazione, nessuna rinascita, solo sentirsi appagato nella sensazione di appartenere ad un quadro che lo fisserà ad un tempo neonatale, tragico e sazio, da cui non si potrà più tornare indietro.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta