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Gangster Squad

Regia di Ruben Fleischer vedi scheda film

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La recensione su Gangster Squad

di nickoftime
4 stelle

Nella genealogia criminale la figura del Gangster fuoriuscita dagli anni della grande depressione occupa un posto a se stante nel cinema Americano. A metà strada tra storia e leggenda i fuorilegge dai capelli impomatati si sono più volte incrociati con la spettacolarità del cinema hollywoodiano che ha visto in quegli uomini e nelle loro imprese un’edizione aggiornata del mito di Prometeo. Stiamo parlando di tipi come John Dillinger ed Al Capone, le cui gesta sono state immortalate da film e registi importanti come Brian De Palma (“The Untouchables”,1987) e Michael Mann (“Pubblic Enemy”, 2009) che hanno letto in quelle parabole esistenziali l’altra faccia del sogno americano. A questi modelli d’inarrivabile spregiudicatezza una figura come Mickey Cohen appartiene di diritto, nonostante la sua biografia si collochi negli anni d’oro di Los Angeles e quindi sia traslata in avanti di circa un decennio (siamo nella Los Angeles del 1949) rispetto ai prototipi considerati. Di Cohen e della  sua ascesa nella città degli angeli si parla in “Gangster Squad”, nuovo film di Ruben Fleischer, il quale, prendendo in prestito un canovaccio molto sfruttato racconta il male dal punto di vista di quelli che lo combattono, e cioè dalla parte delle squadra di sbirri “speciali” messa in piedi dal capo della polizia (Nick Nolte) per smantellare l’organizzazione malavitosa costruita da Cohen. Tra poliziotti corrotti e pupe da salvare la squadra agisce nell’ombra, affrontando il nemico ad armi pari e senza esclusione di colpi. Ma visto che siamo ad Hollywood, e che il pericolo è un ottimo tonificante contro i cali di tensione, succede che qualcosa vada storto, ed il destino prima benevolo diventi improvvisamente contrario ai tutori della legge. There Will Be Blood.

 

Se il tema principale del film è lo scontro tra il bene ed il male, bisogna dire che “Gangster Squad” non bada a spese pur di organizzare uno spettacolo degno di tale sfida. Nei costumi elegantissimi, ma soprattutto nelle faraoniche scenografie che,  negli interni dei locali notturni utilizzati  dai bad guys come rendez vous per organizzare i loschi affari, e dove finiranno per confluire in un modo o nell’altro tutti i protagonisti della storia, ma anche negli scorci della città fotografata come un album di ricordi da Dion Beebe già autore di un affresco della città che aveva reso indimenticabile  “Collateral” (2004),  trovano la loro ragione d'essere. Un allestimento in grande stile anche per la presenza di un cast superbo, con Sean Penn nei panni di Cohen e tra gli altri  Josh Brolin/il sergente John O’Mara (“Non è un paese per vecchi”, 2007) e Ryan Gosling (Drive, 2012)  in quelli dei super poliziotti, ed a cui pero la regia non rende merito. Abituato a copioni ibridi, costruiti sulla convivenza dei generi - parliamo dello zombie movie Zombieland, orrorifico ed insieme ridanciano ma anche della comedy drama 50 e 50 – Ruben Fleischer sembra in soggezione rispetto ad un plot classico come quello di “Gangster Squad”. Il risultato è una direzione troppo ossequiosa per paura di andare fuori tema. In questo modo a cominciare dai caratteri per finire allo sviluppo dell’intreccio tutto sembra procedere con il pilota automatico, come se l’ordalia di eventi e chi ne fa parte fossero le tappe di un viaggio organizzato in un luna park di meraviglie preconfezionate. In questo modo la faccia caricaturale e deformata dal male messa addosso a  Sean Penn/Mickey Coen può lasciare di stucco, e così la fisiognomica del personaggio interpretato da Brolin non può non rimandare per la mascella squadrata e la faccia a ferro da stiro alle stilizzazioni di un fumetto come Dick Tracy (ma anche il Cohen di Penn ricorda molto il Big Boy Caprice di Al Pacino nel film di Beatty), ed ancora il fascino da simpatica canaglia di Gosling non potrà non  conquistare buona parte della compagine femminile, ma rimane intatta la sensazione di un’operazione poco coinvolgente, raffreddata dalla volontà di replicare l’immaginario iconografico gestuale delle opere di riferimento.
(pubblicato su icinemaniaci.blogspot.com)

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