Regia di Pål Aasdal, Martin Ledang vedi scheda film
Ascesa e declino del black metal norvegese (fine anni '80 - primi anni '90) nelle parole di alcuni dei protagonisti della scena.
C'è chi è trattenuto contro la sua volontà - Varg Vikernes, alias Burzum, in galera per 21 anni per omicidio - e chi non può proprio partecipare per cause di forza maggiore, tipo la morte (il suicida Dead, pseudonimo efficacissimo, o colui che del black metal fu il fulcro, cioè Euronymous, assassinato da Burzum); ricostruire perciò l'epopea del genere musicale più esportato dalla Norvegia in tutto il mondo - così viene definito il black metal sui titoli di coda del film - non è affatto semplice. Ma i due registi, coppia di esordienti norvegesi, raccolgono le testimonianze di numerosi protagonisti di quella scena e di quel momento assolutamente irripetibile, le mescolano e le interpolano sapientemente e producono così questo Once upon a time in Norway, che al di là del titolo non ha davvero nulla di fiabesco. Ma di epico, naturalmente, sì: le vicende di un gruppetto di ragazzini scandinavi annoiati, amanti del metal pesante e del corpse paint (trucco facciale in bianco e nero che richiama fattezze cadaveriche), affascinati come quasi tutti gli adolescenti dalla morte, avrebbero coinvolto rapidamente un numero considerevole di ammiratori ed emuli attorno al pianeta intero, dando vita a un genere musicale che ha molto a che fare con la filosofia, la religione e la politica, come si può dedurre dalle interviste che si avvicendano in questo documentario. Appena un'ora di durata, ma le informazioni non mancano: concentrate, ma toste, sviluppano in maniera efficace una linea narrativa che segue gli sviluppi del fenomeno fino alla sua naturale, inevitabile dissoluzione (quantomeno nella sua prima, originale fase), che coincide con l'omicidio in circostanze mai del tutto chiarite di Oystein Aarseth, meglio noto come Euronymous. Rispetto a Until the light takes us, produzione americana uscita l'anno successivo che si propone gli stessi obiettivi di questo lavoro, Once upon a time in Norway risulta più genuino, ma ugualmente interessante. 6/10.
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