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Kotoko

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Kotoko

di alan smithee
8 stelle

locandina

Kotoko (2011): locandina

Kotoko: una donna tutta sola. Giovane, minuta ma attraente, single e con un figlio bellissimo da far crescere. E una sempre maggiore insicurezza nell’affrontare le incognite del futuro. Una fragilità che ad un certo punto sfocia, a puro livello mentale ma che presto si traduce in un grave disagio fisico, in uno sdoppiamento di immagini, che la donna pare percepire nei confronti degli estranei che vengono in contatto con lei: come se questi individui si dividessero in una parte benevola che la attira a sé, ed in una maligna che le procura terrore, spavento e danni fisici e psichici.

Per caso, forse per disperazione, la donna intuisce che solo cantando essa può porre fine e rifuggire queste inquietanti paure dell’inconscio, che le fanno compiere stranezze sempre più crudeli ed anomale, autolesive al proprio fisico, martoriato di tagli e altre auto-afflizioni mortificanti e dolorose. Azioni incontrollate che mettono a repentaglio persino la sicurezza del figlioletto, che ad un certo punto le viene persino tolto e dato in affido alla sorella.

Torna Tsukamoto, quello della leggenda di Tetsuo per intenderci, idolo cyberpunk da generazioni ormai, e riaffiorano insistenti e devastanti le ossessioni che già nella sua famosa Trilogia (ormai "tetra" tra l'altro grazie ad un tardivo seguito) urticavano la sensibilità di molti spettatori, creando tuttavia le basi per costituire e dar vita un solido seguito di ammiratori incondizionati dello stile iperreale, sanguinolento e shock del suo celebre ideatore.

Qui il devasto è più interiore che fisico, o quantomeno i danni corporali sono solo una conseguenza parziale di un disagio ed una insicurezza che non riescono più ad esserecontrollati o frenati.

E tutto ciò se da un lato è ammirevole, in particolare per la tenacia ed il coraggio con cui il regista prosegue un suo discorso crudo e diretto sulle ossessioni della mente senza scendere a compromessi che tendano a rendere meno ostica la rappresentazione (anche visivamente notevole) di un’angoscia interiore che raramente ha saputo trovare interpretazioni così emotivamente convincenti e quasi stordenti per lo spettatore, dall’altro anche in questa occasione nulla riesce a distoglierci dall’idea che l’abile cineasta prosegua pure in questo caso un po’ furbescamente alla rappresentazione delle nefaste cause di una follia senza tregua da parte della donna; manie depressive che diventano un po’ troppo spesso fuorvianti per lo spettatore: troppo facile rappresentare le aberrazioni a cui porta una mente malata, per poi fare marcia indietro e far capire che si trattava solo di un incubo ad occhi aperti. E il pur bravo regista gioca un po’ troppo spesso con questi astuti trabocchetti che finiscono poi per svilire il loro effetto inizialmente dirompente.

Cocco, attrice ma (a quanto leggo) prima ancora cantante, ci riserva una interpretazione così intensa che dal suo sguardo attonito ed inebetito dall’orrore, dai suoi occhi doloranti che fissano l’obiettivo, dai primi piani insistiti sul suo viso umido di lacrime e di muco nasale, emerge una partecipazione che raramente ho trovato così schiettamente realistica: una rappresentazione di una escalation di follia che risulta davvero disturbante e dunque, tenuto conto dello stile e delle intenzioni del regista, pienamente riuscita.

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