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Damsels in Distress. Ragazze allo sbando

Regia di Whit Stillman vedi scheda film

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La recensione su Damsels in Distress. Ragazze allo sbando

di alan smithee
8 stelle

Damsels segna il ritorno dopo anni (almeno per quel che ci riguarda in casa nostra, dopo che il film ha fatto una sua molto fugace comparsa in quelle tre sale che l'hanno accolto ai tempi della sua effimera apparizione nei cinema) di quel perfettino gentiluomo un po' pedante ma dal gran senso del ritmo (anche danzante) che è Whit Stillman: un regista che avevamo abbandonato nostalgicamente (e non per colpa nostra) ai tempi dei ritmi da disco dance patinati e riflessivi (dove infatti le due protagoniste - bionda-Sevigny/bruna-Beckinsale riuscivano inverosimilmente a ballare e parlare irrefrenabilmente per tutto il film) di inizi anni '80 del bellissimo e placidamente travolgente "The last days of disco". Un cineasta puntiglioso e perfettino che ora torna più in forma che mai in un nuovo fiume in piena di parole e discorsi, in un suo mondo che si fatica anche oggi a datare, nonostante tenti di rappresentare una realtà che inverosimilmente dovrebbe rappresentare i giorni nostri, ma fa di tutto, a partire dai vestitini senza tempo e alla Olivia Newton-John di Grease di tre delle quattro candide e ordinate protagoniste, per tenersi ai limiti di un tempo che sia in qualche modo lo specchio della nostra realtà.
E allora in questo college delle favole è naturale che tre ragazze nello stesso tempo sveglie e ingenue, tre regine della sobrietà, tutte pulizia, profumo di lavanda e colori pastello, si prendano cura di una nuova arrivata, e lo facciano, contrariamente a quanto possiamo pensare noi spettatori prevenuti, senza malizia, ma anzi con puro atteggiamento orientativo e di supporto; è per lo stesso motivo che sempre le stesse tre eroine si mettono a dirigere una associazione che assiste i compagni afflitti da esaurimento o che, peggio, sono arrivati a tentare il suicidio gettandosi dal balcone di una terrazza che dista dal suolo per fortuna una distanza non così letale da arrecare lesioni permanenti o mortali.
Ma a continuare senza sosta ad aiutare il prossimo, la dinamica protagonista Violet sente affiorare piano piano in se stessa tutte le insicurezze che hanno caratterizzato la sua gioventù, afflitta da un nome ridicolo (Titti, come l'uccellino giallo di "mi è palso di vedele un gatto"), da un carattere troppo schivo e ritroso, e da una volontà di autoafflizione per dimostrare che è bene tenersi in allenamento contro le mille avversità della vita e del destino: tra queste assurde sfide figura quella di scegliersi come ragazzo il più gretto e sciocco rappresentante dell'altro sesso;  il ragazzo belloccio ma anche il più stupido del mondo, quello che permetterà a Violet di guadagnarsi la soddisfazione di riuscire almeno in parte ad elevare quel primate verso un mondo che gli è completamente estraneo. Per capire poi che è necessario abbandonarlo al suo sciocco fatuo destino, fino a  trovare pure lei il suo principe-ballerino.
Greta Gerwig, meravigliosa ed incantevole nel ruolo di Violet, si impadronisce di tutto il film e il suo volto sfrontatamente acqua e sapone e venato di tristezza, la sua andatura goffa che tuttavia tradisce qua e là improvvisamente guizzi inaspettati di una brillante verve e predisposizione per il ballo, in particolare per il tip-tap, sono una delle cose più alte della pellicola che si rivela una piacevolissima sorpresa tra humor e riflessione semiseria delle più assurde maniacalità che si annidano in una bizzarra ingovernabile mente umana qualunque. 
La forza di Violet è rappresentata dalla più tenace predisposizione all'autocontrollo, che sembra quasi un volersi punire o una espiazione per essere la ragazza riuscita anni addietro a liberarsi di parte delle insicurezze e dei blocchi della prima gioventù. Per questo che la bella e bionda "damigella" si sente sempre in dovere di assistere chi le pare in difficoltà, con un  atteggiamento che sembra improntato alla più celata malizia, ma che si rivela invece generato da un istintivo tentativo di evitare il disagio devastante da lei stessa vissuto in gioventù.
Gran finale sui passi del Fred Astaire più classico e coinvolgente, ma anche al ritmo contagioso e latineggiante del "Sanbola!", ballo finale che finisce per mettere d'accordo tutti; per accoppiare tutti i protagonisti nella migliore delle soluzioni come in un organizzato gioco di società, in grado di far vivere finalmente tutti felici e contenti dopo un'ora e mezza di divertenti e (spesso) irresistibili crucci sentimental-studenteschi tutt'altro che banali, tutt'altro che campati per aria.
Nello sile ormai inconfondibile di Stillman, la forma sembra che abbia la meglio sulla sostanza, ma ciò risulta solo un superficiale e frettoloso abbaglio: è al contrario la dimostrazione più evidente di uno stile tutto personale, di un linguaggio ormai maturo che contraddistingue un autore che ci parla sempre di una classe medio-borghese di giovani che vuole solo emanciparsi e guardare la parte alta della scala gerarchica che ha intenzione di valicare, senza accorgersi delle insicurezze e delle immaturità che invece si annidano nel suo interno più indecifrabile.

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