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L'arrivo di Wang

Regia di Manetti Bros. vedi scheda film

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La recensione su L'arrivo di Wang

di OGM
8 stelle

Forse è una pièce teatrale. Forse è un racconto di poche pagine. Questa storia è un concetto dalla semplicità agghiacciante, racchiuso nello spazio angusto di un pensiero. è un’idea che nasce, cresce e muore all’interno di una scena. È una situazione decomposta in tutti i suoi dettagli, stesa su un vetrino e vista al microscopio.  La struttura è ridotta all’essenziale, a quel rapporto tra noi e gli altri che sta alla base di ogni confronto, di ogni dialogo e di ogni guerra; centra il problema del nostro stare al mondo, ossia la fatica della convivenza, che ci costringe a tradurre la vita in parole, narrandola attraverso quella titanica impresa quotidiana che coincide con lo sforzo di comunicare ed il tentativo di intendersi. Il nostro destino – quello dei popoli e degli individui – è scontrarci con la diversità del prossimo, perdendo di vista la verità. Le differenze ci confondono, e mettono a tacere la ragione, per travolgerla con l’emozione del nuovo, oppure per imprigionarla nella trappola del pregiudizio. È così che l’ospite inatteso e sconosciuto può essere considerato, a seconda dei casi, come un’occasione di scoperta ed arricchimento oppure come un intruso venuto a turbare la nostra pace. Sono questi i due volti dell’ignoto, la cui incarnazione è lo straniero, ovvero l’alieno, colui che non appartiene all’usuale ordine delle cose e risulta difforme rispetto alle regole consolidate. Wang è un extraterrestre che si esprime in cinese. Ha il corpo grigio e pieno di tentacoli, anche se ha un volto simile al nostro, con due occhi per vedere ed una bocca che si spalanca per urlare dal dolore o per bere quando ha sete. L’anomalia offre pur sempre un appiglio a cui aggrapparsi per cercare di stabilire un contatto. Ma anche per attribuire al soggetto malizie e debolezze tipicamente umane, e dunque nutrire sospetti sulle sue reali intenzioni. Quel mostro non è poi tanto differente da noi da renderlo degno di un trattamento speciale. Quel poco che ha in comune con la nostra specie è sufficiente per indurci a classificarlo come amico e nemico, inserendolo a pieno titolo dentro le nostre sbrigative categorie in bianco e nero. Wang, appena giunto sulla Terra, diventa subito l’oggetto di un dilemma. Le due opzioni sono inconciliabili, ugualmente aprioristiche ed infondate. La giovane Gaia, brillante cultrice di lingue orientali, è l’innocentista. Curti, maturo e austero funzionario dei servizi segreti, interpreta invece il ruolo del colpevolista, di colui che pretende di vedere distintamente il male anche se, in realtà, al pari della sua avversaria, non dispone di certezze, ma solo di vaghe intuizioni. Wang è l’imputato in un processo in cui accusa e difesa si svolgono sul piano puramente soggettivo: si tratta di un contrasto d’opinioni impossibili da giustificare obiettivamente, come quelli su cui si fondano le divisioni politiche, i conflitti religiosi, ed anche le crisi familiari. Il corso della Storia è determinato da queste umorali divergenze. Il nostro futuro è in mano all’arbitrarietà del sentimento, in un gioco di forze che nessuno, per quanto esperto e potente, è in grado di controllare. Rabbia e mansuetudine contribuiscono al pasticcio in parti uguali. Idealistiche speranze e pragmatici timori si contendono il primato sulla conoscenza, battendosi nel buio pesto dell’ignoranza. Ingenui e furbi, tutti sono potenziali perdenti. Questo film mette da parte, per un attimo, l’ovvietà di tale asserto. Come, del resto, tutti noi facciamo abitualmente. E poi, piano piano, ci convince di quanto sia sbagliata e pericolosa quella premessa: ciò che diamo per scontato finisce sempre, prima o poi, per ritorcersi contro di noi.

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