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Policeman

Regia di Nadav Lapid vedi scheda film

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La recensione su Policeman

di alan smithee
7 stelle

locandina internazionale

Policeman (2011): locandina internazionale

 

Nadav Lapid è un regista che ho avuto modo di conoscere recentemente grazie al suo secondo lungometraggio, L'institutrice (versione francese del titolo internazionale “The kindergarten teacher”), uscito qualche mese fa nelle sale francesi dopo i positivi riscontri ottenuti al Festival di Cannes 2014 nella sezione Semaine de la Critique, e forte in questa sua seconda occasione di aver ricevuto critiche molto positive dalle principali riviste specializzate.

In realtà il regista israeliano quarantenne ha esordito nel lungo nel 2011 con questo Policeman, che lo ha visto subito insignito del Premio della Giuria al prestigioso Festival di Locarno nello stesso anno.

E Policeman inizia come un “Grande Freddo” tra un gruppo di amici e colleghi: tra poliziotti trentenni, tutti atletici e belli, forti e sani (tranne uno che tuttavia lotta con dignità e coraggio tra la stima e l'affetto degli altri); una squadra nel lavoro e nel tempo libero, dato che amano condividere i momenti di svago praticando sport che li mantengano allenati e permettano loro di sfogare le tensioni e le preoccupazioni che ogni mestiere, ma il loro in particolare, riserva al suo interno.

Dalla sommità di una montagna scalata in mountain bike tutti assieme, i colleghi ammirano il paesaggio semi-desertico che li circonda e avvolge, attraverso il quale anche l'occhio umano arriva al mare, e dunque alla civiltà che essi difendono, ma della quale devono talvolta diffidare cercando di sopravvivere. “Siamo nel posto più bello del mondo” dichiara uno di loro, e poi uno ad uno urlano verso valle ognuno il proprio nome.

Da alcuni particolari capiamo che poco tempo prima una operazione anti-terrorismo condotta dalla squadra è degenerata in una sparatoria incontrollata che ha procurato la morte di almeno due innocenti: per questo un processo pesante nelle conseguenze grava sulla testa dell'affiatato squadrone: Yaron, il più bello e consapevolmente realizzato leader del gruppo, nonché giovane uomo immerso nell'emozione mista a tensione del divenire entro pochi giorni padre per la prima volta, cerca di persuadere, d'accordo con i suoi commilitoni, uno di loro stessi, un poliziotto scapolo affetto da un tumore e quindi destinato a cure mediche anche complesse che lo indurranno ad un prematuro quanto sofferto congedo, ad assumersi in modo autosacrificale la responsabilità dell'azione abortita in strage, scagionando in tal modo gli altri commilitoni e dando loro possibilità di non compromettere lavoro, carriera e destini familiari.

In un secondo atto, apparentemente autonomo e scollegato alla prima vicenda, un gruppo di giovani studenti appartenenti al ceto agiato, che rinnegano e mettono al bando senza per questo rinunciare agli agi che questo permette loro, favoleggiano e finiscono per organizzare una rivolta a danno dei ricchi volto ad assicurare la rivincita delle classi deboli e sottomesse: “Avanti i poveri: è tempo che i ricchi comincino a morire”: uno slogan di questo tipo infiamma e sintetizza, radicalizza ed estremizza il concetto che anima giovani menti labili deviate da una teoria farneticante alla cui radice sussiste una pur sacrosanta e quasi divina, cristiana ma forsennata e scriteriata idea di riscatto e rivincita, concetto che idealmente sta alla base di molti principi religiosi, ma che qui diviene l'esasperazione di una lotta armata e clandestina di stampo terroristico.

Lecito aspettarsi, anche per collegare due storie apparentemente lontane una dall'altra, una resa dei conti finale tra il gruppo terroristico, che nel frattempo sceglie di passare all'azione compiendo un goffo ed improbabile raid ad un matrimonio della figlia di un ricco industriale e magnate di Tel Aviv, ed il gruppo di agenti speciali, che in questa pericolosa e sanguinosa sommossa cerca motivazioni e possibilità di riscatto dopo gli errori commessi in precedenza.

Lapid dà vita con Policeman ad un film tutt'altro che lineare, ma coerente e inquietante, teso, allarmante, col quale il giovane regista comincia a fornirci ritratti di persone ostinate e apparentemente sicure di sé, belle, anzi bellissime fuori, quanto tormentate dentro, intente a spianarsi il cammino che li porti alla soluzione e alla soddisfazione delle rispettive ambizioni e mete finali.

E se il successivo The kindergarten teacher rappresenta - nell'ostinato intento di una maestra di incoraggiare ed esplicitare un innato talento letterario acerbo ma esemplare e puro che si annida nel corpo angelico ed immaturo, fragile e tenero di un bambino dell'asilo - l'aspetto più teorico e mentale di un medesimo processo evolutivo e di maturazione della propria consapevolezza di intenti, Policeman dal canto suo rappresenta lo stesso approccio, spostato nei riguardi della vita concreta di tutti i giorni, dove l'arrivismo e la prepotenza di pochi consentono di sbaragliare e sottomettere una massa di più deboli che finisce inesorabilmente per soccombere, salvo organizzarsi in fazioni e cellule rivoltose che finiscono per combattere violenze e soprusi con gli stessi mezzi e le stesse azioni contro cui è nata la loro protesta.

Policeman è un film d'esordio che lascia il segno e merita la visione, il recupero, permettendo oltre a tutto la scoperta di un talento registico che molto probabilmente lascerà un proprio segno in un cammino cinematografico personale che si preannuncia molto interessante.

FILM VISIBILE E NOLEGGIABILE QUI

 

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