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Romanzo di una strage

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

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La recensione su Romanzo di una strage

di ROTOTOM
8 stelle

 Ronza ancora nelle orecchie il rumore dell’esplosione della bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, il 12 -12-1969 .Uno dei tanti misteri irrisolti nell’Italia cupa e militante  degli anni di piombo che si prepara a divenire distratta, anestetizzata e pecora con l’avvento della politica dei mass media e la discesa in campo dagli unti del signore. Passaggio indolore, scivolato sul silenzio, le ombre  le coperture di organismi politici sempre meno limpidi fino all’esibizione del torbido come status di potere. Quel colpo di stato che si paventava fosse portato a compimento a suon di bombe in realtà e molto più subdolamente è stato effettuato sradicando cultura e senso dello Stato all’intera popolazione.

Il ronzio che intorbidisce la verità udita e sospettata in anni di inutili indagini sulla strage di Piazza Fontana fa il paio con il sapore e il profumo della morte, quella che avverte il Commissario Calabresi, un ottimo Valerio Mastrandrea, sul luogo della strage e che sarà la sensazione guida che lo condurrà talmente vicino alla verità da bruciarsi e venire abbattuto in finale di film.  Finiti i protocolli, esaurite le procedure, confinati gli uomini di Stato dietro le sbarre delle coperture politiche, irrigiditi dalle disposizioni di un potere oscuro e messianico, rimangono solo gli umori e gli odori, le sensazioni umane a guidare verso la verità. Passaggio, questo molto centrato che rende umano  e fallace il personaggio chiave dell’intera indagine, il cardine attorno il quale ruota la quinta del teatro delle ombre mostrando scenari ingannatori, sospetti e false piste.

L’oscuro domina la scena, come in un noir i volti sono impastati di ombre, la stessa Questura, l’ufficio politico di cui Calabresi fa parte, nel suo impersonale squallore è un antro gonfio di buio nel quale i personaggi perdono la fisicità per elevarsi a immagini ipotetiche.
Romanzo di una strage è uno dei tre film insieme a ACAB e DIAZ a rimpolpare il cinema di inchiesta e di impegno politico. Se ACAB è un thriller, DIAZ un horror, Romanzo di una strage è la più classica della spy story, solo che alla fine nulla viene svelato del mistero che sta dietro l’attentato di Piazza Fontana, visto che questa è la realtà. Non poteva essere che così, il film di Giordana. Cupo e sottratto, rigoroso nella messa in scena che fa degli ambienti e della ricostruzione storica il puntuale sfondo entro il quale muovere i personaggi. Il film di inchiesta recupera decenni di prove e di facce, di sospetti e inganni, li dipana e divide in capitoli, come un romanzo, per cercare non di dare spiegazioni e risolvere il caso, quanto per dare una rispolverata alla memoria sepolta da anni di politica sporca e collusa con le parti criminali quando va bene, sospettata di essere la mandante delle famigerate stragi di stato se il pessimismo prendesse il sopravvento.
Ne esce un film compatto su un’Italia divisa, uno spaccato del tempo che ci è colato addosso e verso il quale l’occhio  ha fatto l’abitudine. E’ un film d’attori e gesti, di tagli d’ombre e sospensioni. E bisogna fare attenzione ai dialoghi, riaccendere la memoria e verificare quanto si vede con quanto si creda di aver saputo, o letto. Bisogna districarsi tra i dialetti, roccaforti di identità segrete difficili da decifrare. E’ un film complesso, Romanzo di una strage, un noir maledettamente ben orchestrato nel quale si rifiuta qualsiasi spettacolarizzazione. Emerge solo ciò che serve da una messa in scena scarna e scevra di inutili astrazioni, un’idea di cinema di radiosa fermezza. La violenza sotterranea figlia di ideologie disumane resta sempre fuori campo, dalla morte dell’anarchico Pinelli – un grande Favino -  fino alla morte di Calabresi. Unica concessione alla fantasia, la ricostruzione dell’attentato alla banca, vero e proprio omaggio al cinema nero  e al thrilling, in cui rapidi flasback sostituiscono le facce dei possibili colpevoli di un mosaico  mai completato.  Aleggiano ancora i fantasmi di quei colpevoli in un tetro quadro dipinto con il grandioso senso di impunibilità che ha sempre caratterizzato mezzo secolo di politica italiana, burattinaia di una democrazia tenuta sempre sull’orlo del baratro. 

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