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Romanzo di una strage

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

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La recensione su Romanzo di una strage

di OGM
4 stelle

Dalla strage senza colpevoli alla strage senza innocenti. Uno sporco gioco di scatole cinesi, in cui ogni verità ne contiene un’altra, che però probabilmente è una menzogna. Questo romanzo, che racconta e non spiega un momento drammatico e oscuro della storia d’Italia, è complesso e pieno di contraddizioni come un giallo, in cui, fino all’ultimo, ogni ipotesi ed il suo contrario rimangono  ugualmente ammissibili. Solo che, questa volta, il discorso non converge verso una soluzione. Più i fatti  vengono a galla, più il quadro si riempie di sfaccettature e diventa confuso: col tempo si accumulano prove a carico di tutti, avvalorando una responsabilità collettiva che è logicamente insostenibile. L’assunto di fondo sembra questo: nessuno è stato condannato per la bomba di Piazza Fontana, perché, per uno strano fenomeno di sovrapposizione, le identità dell’esecutore materiale e dei suoi mandanti sono scaturite dalla somma di tante personalità diverse, di un ballerino anarchico e dei suoi tre sosia, di un terrorista nero assoldato dai servizi segreti, di poveri diavoli che parlano il dialetto delle campagne venete e di eminenze grigie, alti funzionari dello stato, pezzi grossi delle forze armate, nonché altri non meglio precisati manovratori potenti ed occulti, posti a capo di loschi intrighi internazionali. Ma le versioni dei fatti non possono essere tutte interscambiabili, come non è concepibile che nel mosaico della realtà possano trovar posto tanti tasselli così disomogenei. Guardando questo film ci si convince che ad impedire alla matassa di sbrogliarsi sia stata la matassa stessa, troppo fitta ed intricata per essere compresa. Un caso unico, quasi fantascientifico, nella storia delle investigazioni.  Marco Tullio Giordana pare volerci dimostrare che l’insolubilità della vicenda sia un dato inoppugnabile, insito nella natura delle cose, e non il frutto di leggerezze, connivenze, omertà, depistaggi. Una tragica vicenda politica e giudiziaria viene ridotta ad un mostruoso  puzzle, umanamente impossibile da decifrare.  Le domande senza risposta, le supposizioni rimaste prive di riscontro e le falsità mai confutate vengono utilizzate come pezzi da comporre in libertà, al fine di costruire un informe rompicapo, che non deve offrire alcun appiglio su cui cominciare a ragionare. L’apparente obiettività di questa presentazione è, in realtà, una innaturale equipollenza, creata ad arte, tra  indizi e supposizioni fra loro incompatibili: elementi  che il film, per non sbilanciarsi, provvede a tradurre tutti, indiscriminatamente, in fatti concreti, o perlomeno plausibili, realizzando un racconto che si avvolge su se stesso senza pervenire ad alcuna conclusione. Un film votato al principio del qui lo dico e qui lo nego con una scrupolosità che mette i brividi.  Quanta insensibilità si cela, in fondo, in questa imparzialità da capogiro, che si impegna a dare informazioni, ma che si guarda bene dall’interpretarle. Questo Romanzo di una strage potrà vantarsi del modo sopraffino, privo di sbavature, con cui ha organizzato il materiale: una sistemazione organica perfettamente equilibrata, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte, perché se ufficialmente non si sa nulla, è opportuno astenersi dal dire. E intanto, nell'estetica della messa in scena, si scorgono i tratti distintivi del prodotto da esportazione, che ritraggono la storia con i toni didascalici del teatro in costume: una carrellata caricaturale di politici dell'epoca,  in cui spiccano un Aldo Moro evangelico, eppure peccatore,  ed un Saragat accostabile alle imitazioni che allora ne faceva, nei varietà serali, l'indimenticabile Alighiero Noschese. Su tutti domina la strana coppia formata dal commissario Luigi Calabresi e dal suo amico Giuseppe Pinelli, circondati da un'aura di ambigua santità: figure centrali, eppure passive, e messe tra parentesi, come  a sottolinearne la (quasi) totale immunità morale dal dilagante sfacelo. Lo stile di questo singolare film è un realismo straniante, che, nel suo radicale distacco analitico, sembra compiacersi dell'assenza di certezze: una circostanza di comodo, che giustifica un dipinto a tinte neutre, in cui le ombre del dubbio sono ridotte a chiazze sbiadite, mentre mancano, a sfrangiare i contorni, le aspre sfumature del sospetto. 

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