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Biancaneve

Regia di Tarsem Singh vedi scheda film

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La recensione su Biancaneve

di ROTOTOM
8 stelle

Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?  Verrebbe da dire Biancaneve  se l’algida fanciulla dalla pelle bianca come la neve, i capelli neri e le labbra rosse come il sangue non sfoggiasse anche un paio di spericolate sopracciglia alte due dita in puro stile anni ‘80. Chissà le ascelle, viene da pensare a noi moderni esteti che con  lotta al pelo superfluo abbiamo riscritto i valori fondanti la nostra società. 
Ma tant’è, nel reame lontano lontano pare che nessuno noti questo evidente sprezzo della beltà così distante sia dai canoni moderni dell’immagine femminile che dalla morbida rotondità anni ‘20 della fanciulla Disney. D’altronde tutto il film è una colorata riscrittura della fiaba che non prende sicuramente spunto dal capolavoro Disney nel tratteggio della storia. Capolavoro da par suo che ben poco aveva attinto dalla fiaba originale dei Grimm, così crudele, così cupa e folle. Chi l’ha letta sa quale sia l’orribile fine della regina e quale tonta si siano messi in casa i nani nell’accogliere la ragazzina bella e dallo sguardo vacuo che dovrebbe veicolare l’archetipo della purezza ingenua che vince sulla malvagità. C’era stata anche una famosa animazione per adulti che raccontava delle peripezie della (non più) candida Biancaneve  che prendeva atto della veridicità della pruriginosa leggenda sulle particolari misure dei nani. E non mi riferisco all’altezza. Ma questa era una divagazione sul tema.

Biancaneve è un divertissement glamour  che si libera di tutti i legacci psicanalitici legati agli archetipi presenti nella fiaba per esibire una superficie  narrativa esile ma dall’indubbio fascino pittorico e scenografico in perfetto stile Tarsem. Si respira aria di Bollywood, ove tutto è trattato con la leggerezza disimpegnata dello scherzo consapevole che non mira altro che a divertire. E diverte, lo stravolgimento di tutti i caratteri dei personaggi, omaggianti le fiabe classiche, è funzionale a imbastire una storia semiseria in cui lo scarto tra l’immaginario codificato della favola/film originale – Disney -  e la ristrutturazione visiva, cromatica e caratteriale dei personaggi  è l’aspetto più interessante. La Biancaneve di Tarsem ha il suo motore nella contrapposizione tra la tradizione e il suo sistematico smantellamento esaltato dallo sfarzoso mondo fatto di luce e colore, pose e invenzioni visive che hanno caratterizzato tutto il lavoro del regista, dai film – The Cell e The Fall -  ai video musicali fino ai commercial.  Ecco quindi la Regina Cattiva Cattiva (Julia Roberts) che usa la beltà per accasarsi con il ricco principe Alcott (Armie Hammer), un po’ rincoglionito, bello e possibile, pregno di quell’ingenuo candore che è propria dei principi azzurri di tutte le favole. Biancaneve o come la chiamano tutti, Neve (Lily Collins), si trasforma in paladina della libertà del popolo liberandosi dell’inerte innocenza con la quale è stata iconizzata e fiuta il pericolo rifiutando la mela offertale dalla regina. Il suo viaggio avventuroso fuori dalle mura del castello assomiglia al viaggio di formazione di Alice nel paese delle meraviglie in versione cappa e spada.   I sette nani vengono trasformati da operosi minatori in piccoli lestofanti esiliati nei boschi che rubano ai ricchi per dare ai poveri, ovvero a  loro stessi. Una versione parcellizzata di Robin Hood. C’è anche la bestia  - lupastro alato-  nel bosco, per non farsi mancare nulla che aggredisce le fanciulle che abbandonano il sentiero o qualcosa di simile. 
 Il tutto servito con un ritmo elevato, una drammaturgia con il gas al minimo giusto giusto per far avanzare la storia  stemperando ogni asprezza in un umorismo garbato inserito in  una confezione scenografica di primordine. La profondità – se si può azzardare – è servita da una paio di facce di genere, attori dalla spiccata propensione teatrale- Nathan Lane - quale è l’elaborata messa in scena del film. Spiccano gli ammiccamenti sessuali e il trionfo dello sfarzo kitsch di una Julia Roberts che gode galeotta per la deriva malefica, lei ex Pretty Woman e neo musa di una marca di caffè dal sorriso forzato e corretto in Computer Grafica.   Tarsem invece lavora poco con la Computer Grafica, i set sono tutti reali – a parte le scenografie in campo lungo -  e sapendo questo risulta stupefacente l’immaginazione visiva di questo “autore” che ha fatto dell’estetica raffinata il suo marchio – riconoscibilissimo -  di fabbrica.
L’appartenenza al genere bollywoodiano è ratificata dal lieto fine nel quale l’amore trionfa su tutto e la canzone che tira il tradizionale  ballo corale capace di far muovere il piedino anche al più radicale dei conservatori della tradizione Disney. Si divertiranno, e si divertiranno anche i bambini per la semplice struttura fantastica e avventurosa che Tarsem ha deciso di donare alla fiaba.

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