Regia di Michele Rho vedi scheda film
Un film non fa mai tanto desiderare la letteratura come quando la strapazza, la consuma, la sfrutta sfibrandone l’essenza. Rarefazione e minimalismo sono un gioco per registi navigati, quelli che sono in grado di utilizzare la povertà del testo cinematografico per creare alvei di indeterminatezza, in cui le suggestioni sono libere di circolare, dando vita alle atmosfere, evocando le emozioni. Ma questa storia è solo un resoconto fatto di immagini didascaliche e di commenti parlati: è un fare e un dire, che mai si sforza di diventare un narrare. In questo western ottocentesco, ambientato nella campagna toscana, l’asciuttezza non è supportata dalla solidità, e per questo il discorso si sfrangia, inseguendo i vari fili della trama, senza mai sviluppare un carattere autonomo e ben definito. Il testo originale è uno splendido racconto di formazione, in cui il cavallo è, prima per il ragazzo, e poi per l’uomo, la parte più nobile della sua carne, quella che è sede dell’amore e della fragilità, e quindi è il posto del cuore in cui nasce il dolore. Siamo di fronte a una vicenda piena di sofferenza, di delusioni, paure, e speranze crudelmente stroncate: un dramma profondo e primordiale, la cui rappresentazione non necessita di toni reboanti, è vero, ma non per questo può essere affidata ai timidi segnavia forniti da anonime sintesi verbali. È un equivoco credere che la triste debolezza della forma possa aiutare la tragicità della sostanza: questa, al contrario, si perde qui nella vana ricerca di una poesia esistenziale che non sia solo un tenue e pittoresco aroma di elegia. Pietro Grossi, nell’omonima opera (facente parte della trilogia Pugni) dalla quale è tratto il film, scrive: "È inutile stare a raccontarci che siamo tutti uguali, ognuno sfrutta il mondo a modo suo, per arrivare suo malgrado dove gli spetta. C'è chi il coltello lo usa per uccidere e chi per affettarsi una mela. Lo stesso coltello, e tutto ciò che c'è nel mezzo, è il mondo diverso per ognuno di noi." Michele Rho inserisce questa citazione alla fine, giusto prima dei titoli di coda: in quel preciso momento avvertiamo un salto di qualità, perché il pensiero sulla vita irrompe improvvisamente in un paesaggio scabro, fatto solo di eventi e parole. Ed è solo allora che, finalmente, cessiamo di vedere senza aver voglia di guardare, ed iniziamo a sognare di leggere, di immaginare, e di viaggiare con la mente dove nulla è vero, perché tutto è prodotto dalla fantasia, però non è nemmeno vistosamente finto, rigidamente diretto e faticosamente recitato.
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