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Le paludi della morte

Regia di Ami Canaan Mann vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Le paludi della morte

di alan smithee
8 stelle

I figli d'arte sono spesso visti istintivamente con sospetto, al cinema forse piu' che altrove. La figlia quarantenne del grandissimo Michael Mann era attesa un po' al varco con questa sua seconda opera, presentata in Concorso all'ultimo Festival di Venezia. In questi casi finisce che la predisposizione alla tolleranza che talvolta si riserva ai giovani registi poco piu' che esordienti, con questa categoria di fortunati cineasti si trasformi in un istintivo preconcetto che talvolta puo' far sviare dall'essenza dell'opera o dal modo in cui e' stata girata. A colpirmi in questo film e' soprattutto il modo suadente ma al tempo stesso deciso e maschio (un po' in stile paterno a dire il vero) con cui viene condotta dalla regista la macchina da presa: le prime splendide riprese che partono dalla corteccia scarnificata di alcuni alberi morti che popolano come fantasmi le paludi limacciose nei pressi di Texas City, che seguono le traiettorie vorticose di alcune formiche che vi si arrampicano in gran fretta, per poi solcare dapprima l'erba fitta e verdissima, poi il pelo dell'acqua quasi salmastra, volando rasoterra fino ad inquadrare le portiere aperte di una vettura che sembra essere stata sinistramente abbandonata da poco, pongono lo spettatore davanti ad un atto quasi dimostrativo, che rivela tutta l'abilita' e il perfetto taglio cinematografico di una regista che non deve cercare consensi con fronzoli o trucchetti stantii, e che rivendica altresi il concetto che alcune volte l'ereditarieta' dei caratteri esiste davvero. 
La vicenda della caccia forsennata da parte di due poliziotti (piu' la ex moglie del piu' giovane dei due) al serial killer che da tempo miete vittime tra giovani ragazze (spesso prostitute), che sfregia ed uccide abbandonandole spesso nelle desolate paludi ai margini della citta', per quanto ispirata ad un drammatico fatto vero, non e' certo uno spunto particolarmente originale o dirompente. Cio' che tuttavia distingue il solido thriller dalla media di mille altri prodotti commerciali a prima vista affini, e' proprio l'attenta poderosa regia, il suo stile maturo e adulto, la destrezza in cui la Mann si misura con riprese anche abusate o ricorrenti come l'inseguimento in auto tra poliziotti e delinquenti; riprese che in una sola inquadratura riescono a seguire entrambe le parti contendenti in un taglio di seguenza che giusto nel cinema dell'abilissimo genitore davamo per scontato pur rimanendone ammirati.
Quanto agli attori, spesso bravi, belli e texani quanto basta (Worthington e la Chastain in testa), si segnalano tuttavia soprattutto l'intenso (ma anche frusto e macilento dai colpi presi) Jeaffrey Dean Morgan, macho sensibile, protettivo e paterno, soprattutto nei confronti della graziosa e tenera Ann (l'ormai imprescindibile e richiestissima Chloe Grace Moretz), e la rediviva attrice lynchana Sheryl Lee nel ruolo breve ma degno di nota della sbandata madre-puttana di quest'ultima. Quanto poi il fatto che i cattivi abbiano tutti un volto cosi' da cattivi e che i colpevoli si conoscano gia' forse sin dall'inizio, e il fatto che probabilmente ad un certo punti la vicenda si incricchi un poco nello snodo un po' troppo complesso e vorticoso (che fine fa il delinquente biondo? la macchina bruciata per occultare le prove rimane un episodio un po' "appeso"....) sono solo piccole falle dinanzi ad una prova registica di pieno valore, vizi di forma sui quali si puo' senz'altro soprassedere in virtu' di tanta polposa gradevole sostanza.

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