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Amour

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Amour

di LAMPUR
4 stelle

Cosa vuol farci vedere Haneke?
La lentezza del disfacimento, l'ineluttabilità del suo evolversi, l'impotenza dell'affrontarlo?
Il filo doppio che ci lega ad una persona cara e che può rompersi conferendo un'aria irreale agli automatismi quotidiani, il gioco di memorie o la solitudine degli incubi da non poter condividere, sono fotografie di un quadro che parecchi non hanno, fortunatamente, ancora affrontato sulla propria pelle.
Guardatevi il film allora, commuovetevi, rimanete affascinati dalle camere fisse che scrutano discreti una casa che non distrae, ma non crediate possa esservi utile quando dovrete imboccare voi, chi ha deciso di smettere.
Sono piccole istantanee quelle offerte, segnali di qualcosa che non andrà più, stati di avanzamento doloroso, eppure manca la visione.
Quelle istantanee flashano e tornano buie.
La caduta dal letto, la perduta autonomia di consuetudini fisiologiche come andare in bagno o fare una doccia, il vestirsi ed il mangiare. Di gusto o per necessità.
Di queste istantanee è colma l'esistenza di chi soffre la malattia e di chi assiste tentando di alleviare, spesso impotente.
E' un riciclarsi di quotidiano asfittico che esaspera e deturpa.
Lo schiaffo di Georges che nel film segue il primo rifiuto di Anne al nutrimento, dovrebbe giungere a corollario di cento rifiuti. Il lamento di Anne nuda sotto la doccia è un'immagine che non dovrebbe, ormai, turbare Georges.
Ma sono tutte istantanee servite per il pubblico in platea che vede un evolversi di coppia servito a comando.
Ed ecco di seguito l'insensibile badante, una figlia sconosciuta che tutti si augurano di non avere, gli in­serti onirici a testimoniare un inconscio impedimento - come se quello che ti dorme accanto nel letto non fosse abbastanza esplicito - .
Manca quell'apatico arrendersi che spesso è il poco cinematografico cortocircuito che vede una coppia convivere fino alla fine.
L'amore svanisce tra le dita mille volte e l'impegno di non portare l'amato/a in ospedale può diventare una minaccia più che una promessa.
Haneke si produce in un esercizio sterile, superficiale e, come definito altrove, addirittura arrogante.
La dedizione al dolore come anche palliativo per disinnescare ogni critica. Non mi sento di perdonarglielo.
Pensavo anche a tutti quelli che non potrebbero mai permettersi due infermiere al giorno. Ma che ne sanno di amour. Insensibili.

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