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Il mucchio selvaggio

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Il mucchio selvaggio

di millertropico
10 stelle

Pike  Bishop e i suoi truci compagni (il fido Dutch, il vendicativo Angel, i fratelli Gorch) sono i protagonisti di The wild Bunch (Il mucchio selvaggio) che, della filmografia di Sam Peckinpah, rappresenta indubbiamente uno dei massimi risultati, se non addirittura l'apice assoluto della sua arte.
E' un gruppo di banditi sui generis che insegue il miraggio di mettere a segno l'ultimo grande colpo prima di ritirarsi a vita privata, quello che che il regista mette dunque al centro della sua narrazione filmica.
Giustamente considerato il capostipite del "dirty western" è un film che da subito ripudia quasi in toto le regole codificate del genere di riferimento, rispetto appunto a tutto quanto era stato prodotto fino a quel momento nel settore dal cinema mainstream hollywoodiano.
I miti della frontiera, dell'eroismo e del patriottismo, vengono infatti distrutti dal regista per lasciare il campo a uno scenario dove è soprattutto l'ombra della morte  ad aleggiare su ogni cosa, dal primo all'ultimo fotogramma.
Due le sequenze d'azione di straordinaria presa e costruzione, che hanno fissato indelebilmente nella memoria del pubblico questa pellicola: la scena iniziale, dove una frenetica sparatoria è la sanguinosa e inevitabile conseguenza del fallito colpo ad una banca, e quella ancor più strepitosa di chiusura, in cui un quasi orgiastico rito distruttivo, accompagna il tramonto degli ultimi superstiti della banda.
Ma il grande merito di Peckinpah è stato proprio quello di aver coniugato l'uso copioso della violenza (che all'epoca della sua uscita fece molto scalpore)  con una vena in fin dei conti intimista, e a suo modo e per alcuni tratti, quasi romantica, testimoniata  proprio dal culto dell'amicizia e dal codice d'onore che unisce tutto il gruppo.
Esaltante poi oltre al peso indiscusso degli interpreti, è proprio lo strabiliante montaggio di Louis Lombardo (3643 inquadrature messe insieme con sapiente maestria che conferiscono al film un ritmo davvero serratissimo) e la fotografia di Lucien Ballard, senza dimenticare l'uso dirompente che il regista fa del "ralenti", che diventerà negli anni a venire uno stanco clichè di tanti registi a corto di ispirazione, ma che è stato invece per Peckinpah un  eccellente modo (e anche l'unico possibile) per distanziarsi dalla materia, con un procedimento antinaturalistico quasi al limite dell'astrazione.

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