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Così mangiavamo

Regia di Stefania Barzini, Alessandra Acciai vedi scheda film

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La recensione su Così mangiavamo

di barabbovich
8 stelle

Com'è cambiata l'alimentazione dal secondo dopoguerra a oggi? Quali novità sono arrivate sulle nostre tavole e come si sono trasformati i modelli di socializzazione a tavola e gli ambienti del mangiare? A partire da una nota autobiografica appena accennata, Stefania Barzini (coadiuvata in cabina di regia da Alessandra Acciai) prova a rispondere a queste domande con piglio sociologico di assoluta efficacia. Mantenendo il contento storico-sociale, le trasformazioni antropologiche e le oscillazioni dell'economia come costante sfondo di riferimento, il documentario ci permette di assistere alla traiettoria gastronomica di un Paese uscito del dopoguerra poverissimo e con le ossa rotte. All'inizio degli anni '50 appena il 6% della popolazione disponeva di un frigorifero, lo zucchero era ancora una rarità sulle nostre tavole e della carne non si vedeva neppure l'ombra, se non nei deschi della borghesia più altolocata. Anche l'acquisto al mercato, delegato - nemmeno a dirlo - alle sole donne, era assai diverso da come lo conosciamo oggi: regole assai meno rigide, prodotti sfusi e senza contenitori, massima libertà di scelta. Quella stessa scelta di cui - con l'arrivo della pubblicità, e di Carosello in particolare - saremmo stati espropriati. Con il boom economico, a cavallo tra fine anni '50 e primi anni '60, anche i consumi avrebbero cambiato marcia e il ricordo dell'olio di fegato di merluzzo, raccapricciante quanto inevitabile integratore ante-litteram a servizio della crescita dei ragazzi, si sarebbe fatto via via più appannato. Eravamo nel pieno degli anni '60 quando la marcia inarrestabile verso il moltiplicarsi dei consumi conobbe un'ulteriore accelerazione: la costruzione dell'Autostrada del Sole rese sempre più diffusi gli scambi alimentari su tutto lo Stivale, mentre il gelato diventava una moda, le carni si declinavano in -ino e -ina (dallo spezzatino alla scaloppina) e i coloranti cominciavano a essere usati in maniera spregiudicata. Ci avrebbero pensato il '68 e la crisi petrolifera del '73 a ridare un po' di sobrietà alle nostre abitudini alimentari, sebbene l'industria e l'inquinamento - si veda il caso del colera - ormai avevano già fatto i loro danni. Gli anni '80 furono forieri di ulteriori trasformazioni: mentre le mamme, i cui tempi da dedicare alla cucina erano sempre più ridotti all'osso, preparavano i sofficini ai figli, questi ultimi aderivano appieno alla moda dei fast food, presa a prestito dagli States. Quella americana non fu però l'unica moda importata in un Paese, il nostro, dalla grandissima e riconosciuta tradizione gastronomica (pizza e spaghetti su tutti): ad essa di associò quella francese della nouvelle cuisine, con i piatti che si allargavano e le porzioni che rimpicciolivano. Arrivavano anche le prime fobie: per esempio quella per le verdure in foglia, dopo Chernobyl, e qualche fissazione di troppo, come quella per la frutta esotica. Ma le novità non si fermarono qui: esplose il consumo di merendine e biscotti e quello dei surgelati, mentre i nuovi ritmi di lavoro contribuirono alla diffusione di mense e refettori.
Negli anni '90 la guerra del Golfo sembrò una minaccia sufficientemente concreta da farci trasformare le abitazioni in bunker equipaggiati di ogni genere alimentare, al punto che, nel periodo durante il quale Bush senior era impegnato a bombardare l'Iraq,  gli scaffali dei supermercati rimasero vuoti. La globalizzazione e l'esplosione dei viaggi intercontinentali rese meno peregrina l'idea di accostarsi al cibo etnico, che cominciò ad arrivare anche sui banchi del supermercato. Con gli anni Duemila si compì il giro di boa: l'aviaria e la mucca pazza ci traghettarono dalla paura della fame a quella del cibo. Tutto questo e moltissimo altro ancora viene raccontato dalla voce pimpante di Giuliana De Sio e dal registro ironico del testo, corredato da molte immagini d'epoca, spezzoni di altri documentari, animazioni originali, cifre e dati, qualche testimonianza celebre e la presenza, ormai inarginabile, di "prezzemolo" Carlo Petrini.  

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