Espandi menu
cerca
Cosmopolis

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

Recensioni

L'autore

logos

logos

Iscritto dal 15 aprile 2014 Vai al suo profilo
  • Seguaci 19
  • Post -
  • Recensioni 306
  • Playlist 2
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Cosmopolis

di logos
9 stelle

Un’opera straordinaria, sensoriale, verbosa e somatica, in cui i flussi delle parole diventano segni circolatori di un capitale che fabbrica il tempo sulla forza lavoro per riciclare tutto quanto è presente o passato, al fine di astrarre valore che si accumula in un cattivo infinito, ripetitivo e ossessionante, spettrale, verso un futuro che non c’è, se non come vuoto in cui sublimare a annientare la vita, nel denaro che valorizza se stesso, diventando l’Uno circolante autoreferenziale, quell’Uno che poi si personifica nel protagonista, Eric Packer, il giovane adulto di 28 anni, il golden boy dell’astrazione finanziaria digitalizzata, completamente avulso dal mondo, chiuso nella sua limousine bianca, spaziosa quanto basta per circondarsi di consulenti valutari, finanziari, persino del pensiero, con tanto di medico a bordo per il check up giornaliero. Tutto si svolge in una giornata, le 24 ore decisive e definitive di questo ragazzo d’oro.

 

Lo vediamo all’inizio entrare nella sua limousine, circondato da guardie del corpo, con l’idea ossessiva di andare dall’altra parte della città per farsi il taglio ai capelli. Questo è il viaggio di Packer, e in questo viaggio attraversiamo con lui una New York in preda al panico, simbolo dell’incipiente e mai definitivo tramonto del capitalismo, attraversata da manifestazioni anarchiche e al tempo stesso dalla visita del presidente degli Stati Uniti. In un’atmosfera quanto mai surreale, noir, onirica, Packer osserva dal finestrino il tumulto, il traffico, il crollo del suo impero; nella sua macchina cerca di inseguire il corso speculativo valutario, si distende all’ispezione rettale del medico mentre non cessa di ansimare il suo desiderio sessuale in faccia alla consulente che gli parla, per poi presentare il suo odore libidico consumato alla sua moglie appena sposata, poetessa ricca ma che non si concede, che vive anche lei in un mondo proprio, e che non sopporta lui, per quell’odore, per le sue continue scappatelle.

 

Parker, con la sua prostata irregolare, ha tutto ma non è nessuno. Il suo scopo è quello di avere, di avere tutto sotto controllo, misurabile e quantificabile, al fine di poterlo possedere; e così possiede sesso, ricchezza, consulenze mediche, finanziarie, filosofiche, ma non sa nulla del mondo perché in fondo non gli interessa, lo vuole solo sotto controllo. Essendo egli un’unica cosa con quel denaro astratto che personifica, egli è tutto e niente, perché quel denaro, oramai riflesso in se stesso, può diventare qualunque cosa, anche un ratto, che nella simbologia psicoanalitica, sapientemente dosata in quest’opera, come del resto in tante altre di Cronenberg, può essere anche la massa fecale, trattenuta e respinta per essere nuovamente trattenuta, in un andirivieni che è la stessa circolazione del capitale che distrugge per creare, ma in realtà crea per distruggere, secondo una ostinazione ossessiva del controllo fine a se stesso, che è poi il carattere anale, quel carattere che vuole tutto alla perfezione, senza che nulla sfugga al possesso reificato.

 

 

Ma Packer deve giungere alla meta a qualsiasi costo, farsi il taglio, anche se qualcuno lo vuole uccidere e tutto il mondo sembra cospirare contro di lui, che è la personificazione spettrale del capitale che affonda. E così, dopo un’odissea strabiliante di dialoghi vertiginosi, in cui i significati si ribaltano sempre nel non senso, lasciando al significante l'appoggio distorto dell’immagine, che diventa con ciò superlativa della condizione umana muta nel suo mistero disperato, Packer arriva finalmente dal suo barbiere, che era anche quello di suo padre.

 

Anche qui non mancano rimandi al complesso edipico, perché il taglio praticato dal barbiere/padre non è completo, Packer se ne va via prima di aver cioè interiorizzato una completa istanza del super-io, perciò la sua genitalità è compromessa da e per sempre, regredisce del tutto alla sua analità fecale, fino a giungere a ritrovare se stesso, il suo Io ideale, in un altro misero personaggio, Benny Levin, il suo fatidico assassino (il se stesso o quel che ne rimane), anche lui con la prostata irregolare, che non ha nulla e non è più nulla, per colpa di Packer e del suo mondo di plastica, ma che come uno specchio gli rimanda il lato decadente della sua perfezione ossessiva calcolante, vale a dire quel lato oscuro che avrebbe dovuto saper accogliere ma che ha tralasciato, l’anomalia organica del corpo, del suo proprio corpo, e precisamente l’anomalia della prostata, che di per sé non vuole dire altro che tutto quello che il capitale può fare è affermare se stesso nella sua smisurata quantità misurabile, ma il corpo resta il suo limite invalicabile, perché se vuole inghiottirlo non può più valorizzarsi, e tutta la sua libido astratta si polverizza come un castello di carta. Nel momento in cui Packer prende coscienza di tutto ciò, e una lacrima gli cola sul viso, il suo alter ego, dietro le sue spalle lo minaccia insistente con una pistola, quale preludio di un tempo mancato, la cui realizzazione non può più compiersi, perché oramai il tempo non ha più tempo, neanche per sé.

 

Mentre nel film precedente, A dangerous method, si erano affilate chirurgicamente le armi psicoanalitiche tra il tramonto di un secolo borghese e la vigilia della Grande Guerra, nell’alba del Novecento - finora il secolo più violento del capitalismo morente e mai morente - , ora queste armi le vediamo all’opera con tutto il bagaglio labirintico dell’organico psichico, le quali, prima di bruciare se stesse come cinema del cinema in Maps to the stars, in quest’opera sparano proiettili luminosi e incandescenti nei meandri fisici, psichici e sociali della analità capitalistica, ma senza alcuna illusione di un avvenire, perché è questo, il nostro, il tempo del nichilismo, dove manca insomma la negazione determinante del totalmente altro, e tutto deborda, finendo senza mai finire. La pars costruens del Manifesto di Marx è finita sulla luna... mentre l'altra è tutta ben tratteggiata nel film. 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati