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Cosmopolis

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cosmopolis

di ed wood
4 stelle

Passo falso del grande Cronenberg, che non trova la forma adeguata per proseguire il suo complesso e avvincente discorso sulla violenza, sulle sue origini, motivazioni e dinamica. L'impianto saggistico del romanzo originale penalizza l'intero film, che risulta del tutto privo di tensione e di sviluppo drammaturgico. Altri registi, forse, si sarebbero trovati a loro agio con una materia simile, a metà strada fra il distacco brechtiano, la metafora socio-antropologica e la fantasia onirica. Cronenberg invece no. Il maestro canadese ha bisogno di un plot, di una solida impalcatura narrativa per elaborare la sua riflessione. Non si tratta di un limite, sia chiaro: semplicemente ogni autore ha un modo congeniale di esprimere il proprio pensiero. Il Cronenberg "saggista" non funziona. Romero, ad esempio, sì (anche se il suo capolavoro "Diary Of The Dead", per inciso, vanta un copione perfetto). Anche nei suoi film più eccentrici e discutibili, come "Il pasto nudo", Cronenberg ha sempre fatto passare le sue idee attraverso le mutazioni fisiche e psicologiche dei suoi personaggi. In "Cosmopolis" non si avverte questa progressione, indipendentemente dalle limitate qualità espressive di Pattinson. Gli uomini e le donne che egli incontra sulla sua limousine-ufficio sono i parti distorti della sua coscienza, proiezioni dei suoi dubbi e delle sue insicurezze. Sono mutazioni, in forma umana, dei propri pensieri: flussi di coscienza che si fanno carne. In questo, va detto, Cronenberg è coerente con se stesso, col suo cinema, col la sua poetica. Quello che manca è l'intensità, la pienezza, il vigore espressivo che avevano fatto di Cronenberg un "classico moderno", capace di far passare sottopelle (sotto la scorza di un impianto narrativo-drammaturgico lineare) una visione problematica del mondo e del genere umano. Non si sviluppa dunque la tanto attesa dialettica fra l'immaterialità del capitale finanziario e la corporeità della violenza fisica: restano solo tante parole, vacue e pretenziose, intrappolate nella fragile bolla di un'automobile-prigione. Una gigantesca allucinazione stagnante, carburata da sterili elucubrazioni sul mondo globalizzato. E' un peccato allora che l'apparizione dell'ottimo Paul Giamatti costituisca il più tipico dei casi "troppo poco, troppo tardi". 

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