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Shame

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Shame

di Badu D Shinya Lynch
10 stelle

Odissea implosiva.
Il libero arbitrio diventa prigione, libertà castrante, gli spazi si restringono, la possibilità di scelta si trasforma in inevitabile oppressione vitale, l'anima è cancellata dietro le sbarre della carne. Steve McQueen illumina e ingrandisce le emozioni che scaraventa in faccia allo spettatore, senza permettergli di respirare, di voltarsi : Sissy canta per Brandon, per noi ; traspare il dolore, il sentimento, urla camuffate in musica, pesanti parole che non verranno mai dette lasciano spazio all'armonia dei suoni, all'eloquenza delle lacrime ; è tutto davanti a noi, in quei primissimi piani, non si scappa dalla disperazione dei sentimenti - il regista lo sa, da una voce al turbamento emotivo, lo rende vivo, vibrante. Ci distrugge. Shame è un artificioso tour de force visivo che non lascia via di scampo al pubblico ; c'è un sensazionale esibizionismo registico, c'è potenza e precisione filmica ; è un'opera quadrata, chirurgica. McQueen ostenta meravigliosamente, si fa notare, è capace - un pò come Brandon : egli si mette in mostra, si lascia guardare ; è liscio, pettinato ; ma è dietro questa impenetrabile perfezione, sotto questa smaltata superficie che si nasconde una corposa e fisica debolezza ; l'ineccepibilità estetica copre il malessere esistenziale - la gratificante vita di Brandon nasconde un'interiorità devastata, fatiscente : abiti alla moda, lavoro appagante, prestigiosi ristornati, tutto ciò serve a dissimulare vuoti incolmabili relativi ad un'esistenza massacrata, instabile ; un continuo immergersi nell'orgasmo per (tentare di) fuggire dall'abisso. L'insistenza, l'ostentazione di un percorso vitale macchinoso : sesso meccanico, movenze e abitudini ripetitive, senz'anima. Malattia : non può fare a meno di esibirsi, un morboso mettersi in mostra ; è questo ciò che conta per il protagonista ed è questo ciò che importa a McQueen : deliziare, affascinare, (di)mostrare. Quella di Brandon è, però, una performance fredda ; fornicare in maniera glaciale, asettica, senza sentimento, senza fuoco, senza vita. E' un continuo morire, un perpetuo esorcizzare la propria malattia/debolezza per poi volontariamente ripiombarci dentro. Il piacere, il dolore, il vuoto, la fine, l'inizio. Libertà. Ciò che crea maggiormente disagio, fastidio, è forse il fatto che Shame sceglie il registro del Realistico e non del Rappresentabile ; di conseguenza anche le scene di sesso più esplicite, diventano paradossalmente anti-erotiche, respingenti, scomode in tutta la loro freddezza. Brandon gioca a fare sia lo spettatore che il protagonista della sua dipendenza : osserva, ammira e vuole essere osservato, ammirato - fuori e dentro la sgradevole trasparenza sessuale. Realtà ossessiva messa in esposizione, in vetrina. Non c'è nemmeno tempo per le infezioni veneree ; la (vera) malattia è un'altra, quella esistenziale. Figure senz'anima, sterili ; ed ecco che l'amplesso diventa dolore ; i corpi caldi, passionali si spengono e lasciano spazio alla lussuria automatizzata. Esseri non viventi. Ecco che ad un certo punto subentra un aspetto spiazzante, che lacera - un separè registico, tipico di McQueen, di Shame : nonostante la repulsione citata poco fa, (ora) lo spettatore si identifica comunque con i protagonisti e con le emozioni viscerali che essi trasmettono. Respingere e attrarre. Un continuo scambio di silenzi e urla, sensazioni intercambiabili, un'operazione ambigua, meravigliosa, completa. Allontanarsi e avvicinarsi - McQueen gioca a coinvolgere e sconvolgere, a esplicitare la limpidezza dei sentimenti. Il film diventa quasi esplosivo nel prefinale : c'è uno sgretolamento cronologico, si sfalda la soffocante implosione ; si rischia l'esplosione, la possibilità di redenzione, l'atto liberatorio per il pubblico, la scelta. Ma è un'operazione razionale quella di Brandon/McQueen : una deflagrazione ben studiata, levigata, smussata. Una mancata catarsi, il regista lo sa. Ecco che il protagonista si svuota, si lacera, ma non si ferma - è lucido, consapevole del fascino del suo insaziabile dolore. Si arrende ad esso, non lo combatte. Lo soddisfa, lo sfama. E' un inciampare volentieri, eternamente. Morire per sopravvivere. Strazio ciclico, pulsioni, vizi che non cessano e non cesseranno. Il veleno esistenziale, la sua malattia. Indispensabile, irriducibile. Crollare razionalmente, con intenzionalità. Egli ha bisogno di mettersi in mostra, esibire la suo spasmodica sofferenza. Non è liberazione, esorcismo esistenziale, ultimo, no - è piuttosto una sorta di documentazione slabbrata e scivolosa della sua malattia, ecco cos'è il prefinale. La redenzione, ancora una volta, non c'entra, viene soffocata, si lascia strozzare. Ha scelto di dedicarsi totalmente al perpetuo (in)adempimento della sua rovina interiore. Sceglie di non fermarsi. In Shame non c'è una perdizione definitiva, una dannazione fatale ; ma è sempre un attutire la catarsi, scansarla volontariamente. Vite e morti irrisolte. Si rimane nel limbo coscienziale, sofferenti e sospesi. Indietro non si ritorna. E' tardi. Ora il sangue è diventato esteriore, non più interiore, non più invisibile. Le cicatrici non svaniscono, si ripetono, sono ricorrenti, quasi ritmiche ; il passato diventa presente e il presente diventa passato. Il futuro è scoppiato, dilatato. Lacrime che si mischiano alla pioggia. La consapevolezza dell'errore, dell'orrore. La fine è l'inizio : l'esistenza, il dolore è in loop. Il regista spinge lo spettatore a riflettere, il pubblico si fonde con lo sguardo ambiguo di Brandon. L'enigma McQueen, stimolante. Dumont, L'Humanité. Ecco lo specchio finale che riflette i demoni dello spettatore, e palesa le redenzioni mancate. Silenziosamente si rompe, si spacca. Corto circuito. Mistero reale, realistico.
La sostanziale differenza tra Hunger e Shame, qual è? Hunger è un film più diretto, esplicito, devastante nell'immediato ; un pugno sullo stomaco che fa bene, salvifico, senza sottotesti. Shame è un'opera sottocutanea, implosiva, che cresce nel tempo. Stuzzicante, a lunga durata. Un lungometraggio meraviglioso, destabilizzante e affascinante.

Due parole riguardanti il rapporto tra Sissy e Brandon :
Lei lo mette a nudo, suscita in lui devastanti ricordi, lo fa star male, lo rende maledettamente vulnerabile. Paradossalmente pone in risalto la malattia del protagonista. Sissy, con la sua presenza, blocca Brandon, lo mette in stallo. Lo inibisce inconsapevolmente. Non sfoga, la sua catastrofica dipendenza è evidenziata, emerge. Lei lo intrappola amorevolmente, lo mette faccia a faccia con i suoi demoni (passati e presenti), con la vita. Lo appesantisce, lo accende. Lo rende finalmente vivo. Brucia, e deve placarsi, estinguere il fuoco, urlare :

http://www.youtube.com/watch?v=5wI6OX8BkL0

"Non siamo cattive persone: veniamo solo da un brutto posto."

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