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Alps

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Alps

di yume
8 stelle

Nell’ideale skyline del modello di vita umana incorniciato fra le due scene di ginnastica ritmica, Lanthymos ci trascina in una palude infernale.

Locandina internazionale

Alps (2011): Locandina internazionale

 

Nel 2013 con The Gambler il lituano Ignas Jonynas immaginò uno scenario abbastanza simile a quello di Alps, con un gruppo di paramedici di un pronto soccorso impegnati in un giro di scommesse sulla data del probabile decesso di pazienti ricoverati in condizioni critiche.

L’obiettivodi Lanthymos è un altro, nonostante la presenza anche qui di malati terminali e persone interessate alla loro prossima morte.

Qui la vita stravince, a qualsiasi prezzo.

Il morto lascia un vuoto? Non è più incolmabile, ci pensano gli Alps a colmarlo.

Come?

Proponendo ai famigliari di sostituirsi temporaneamente al defunto, muovendosi e parlando come lui, vivendo con loro in orari prestabiliti e garantendo un’adeguata e veloce elaborazione del lutto.

Questo fa sembrare addirittura che la loro sia una missione socialmente utile, affrancandoli dall’odioso mercimonio dei paramedici di Jonynas.

Naturalmente il servizio ha un prezzo e, come per ogni intervento terapeutico che si rispetti finalizzato a migliorare la qualità della vita, nel pacchetto è prevista una dimostrazione gratuita, perciò le prime quattro visite non si pagano.

Ma, benchè sembri paradossale, non è il denaro il centro dell’interesse dei quattro, non è il potere, anche se la gerarchia dei ruoli fra i quattro lo farebbe pensare, né l’autore intende tradurre in metafora lo straniamento e la reificazione del vivere associato costruendo una favola surreale.

 

In Alps c’è molto di più, c’è l’annullamento del doloroso fluttuare dell’immagine di chi muore nella memoria dei vivi, la traccia impalpabile celebrata da generazioni di poeti di ogni tempo e civiltà.

Resettare il passato, trasformare il presente in un indistinto susseguirsi di gesti e parole consunte, esorcizzare la morte esaltando il principio del piacere, renderlo così imperativo da perseguirlo comunque e a qualsiasi prezzo. Questa è la mission, perdere ogni legame con il mutare progressivo dell’esistenza, produrre l’artificio immobile e fisso come una statua.

Ma non si parla di maschere, qui non è in gioco il tema dell’identità, dell’uno e del molteplice, dell’essere e del sembrare.

 

Lanthymos parla di assenza fatta diventare presenza, puro artificio che riduce tutto in superficie, morte e vita senza più mistero, le due dimensioni si confondono, si neutralizzano e quel che rimane è vuoto a perdere, rifiuto secco non riciclabile.

Il processo mimetico messo in atto dagli Alps non è neppure particolarmente accurato, si limitano a qualche nozione di base acquisita durante il tragitto concitato del morituro verso la rianimazione.

Quello che serve è il nome di attori e cantanti preferiti dal futuro morto, il colore dei capelli che il sangue ha coperto e varie nozioni spicciole del genere.

La superficie della storia di ognuno può bastare per interpretarne la parte. Il tempo farà il resto, sanando le ferite di chi resta che, per brutte che siano, non gli impediranno di vivere.

La morte dell’uno sarà l’inizio di una vita migliore per l’altro, così assicurano ai loro clienti i quattro, ma naturalmente, come ogni affermazione in questo film, non è dato capirne il perché.

Perfino il nome, Alps, geniale, anche avventuroso, di cui il capo spiega al gruppo la scelta, esprime un nonsenso assolutamente invalicabile: 

“Dopo averci pensato a lungo, ho scelto “Alpi” per due ragioni. La prima è che non rivela in alcun modo cosa facciamo. La seconda è che è puramente simbolico. Le Alpi non possono essere sostituite da nessuna montagna ma possono invece sostituire qualsiasi altra montagna. Qualsiasi montagna sarebbe più ''piccola'' e meno eccezionale, quindi un brutto surrogato. A chi darebbe fastidio vedere al posto dell'Ararat o del McKinley una delle Alpi?".

 

Tutti sono soddisfatti della stralunata motivazione, e dal Monte Bianco, il più alto della catena e dunque nome del capo, si scende alle montagne più piccole in gradazione altimetrica e gerarchica.

Una volta stabilite ferree regole deontologiche da rispettare, ognuno reciterà la parte concordata nei vari casi di intervento post mortem presi in carico. Abolite le coordinate storiche della vita umana, negate le leggi naturali, appiattito l’immaginario ed esorcizzate le emozioni, restano personaggi non bisognosi di autore, nudi fantocci senza palcoscenico.

 

Nell’ideale skyline del modello di vita umana rappresentato Lanthymos ci trascina in una palude infernale.

Palude non più prerogativa degli Inferi, ora è risalita in superficie ed ospita discariche abusive, depositi radioattivi, falde acquifere inquinate, cimiteri di plastica, guerre chirurgiche e campi di sterminio.

 

Come sempre è in gioco lo straordinario potere della parola:

Tra il potere della parola e la disposizione dell'anima intercorre lo stesso rapporto che intercorre tra la prescrizione di farmaci diversi che, eliminando dal corpo umori diversi, possono far cessare la malattia o la vita. Così anche alcuni discorsi danno dolore ed altri piacere, alcuni impauriscono ed altri mettono coraggio a chi li ascolta, altri con una persuasione malvagia avvelenano e stregano l'anima.” (Platone, Gorgia)

 

Mettendo in scena lo svuotamento di senso del linguaggio il greco Lanthymos misura la strada fatta dalle parole che un giorno, dai bastioni di Micene, tuonavano spiegando agli uomini ignari le leggi del Fato e degli Dei.

Oggi vige la parola disonesta e corriva, e l’immagine in cui s’incarna non può che avere una qualità distorta, distorsiva e inafferrabile.

Ecco dunque in successione scene in cui dettagli di volti e corpi fuori fuoco sono gli unici elementi per tentare di afferrare la realtà, che ovviamente sfugge in uno slittamento semantico continuo.

Noi che guardiamo vorremmo veder meglio, tentiamo di intervenire sulle dimensioni dell’immagine che sfoca sempre più.

Non più gruppi di famiglia in un interno (Kynodontas) dove era il Padre demiurgo a dettare il significato delle parole stravolgendole a suo piacimento.

Ora il nocciolo è esploso e la contaminazione si è estesa ovunque.

Language is a virus”, proclamavaBurroughs.

La chiave di comprensione per le immagini confuse sparse sulla scena, quel codice di lettura che Lanthymos mai trascura di fornire all’attento spettatore delle sue opere, è nelle due sequenze che incorniciano il film, in apertura e chiusura.

 

All’inizio c’è una palestra disadorna, una breve coreografia di ginnastica ritmica sul tema sonoro O fortuna” dai Carmina Burana di Orff.

 

Junior, la ginnasta, body grigio da allenamento, corpo perfetto da professionista, volteggia leggera. Magnifica mobilità articolare e rigorosa simmetria di movimenti disegnano figure acrobatiche nell’aria, un nastro nero allunga il suo tentacolo intorno al corpo flessuoso.

Quindi si ferma, chiusa in un pensiero molesto.

Quella performance non le piace, vorrebbe “lavorare a qualcosa di pop”.

L’allenatore, mezza età, brizzolato, aria stazzonata da frequentatore di bar di periferia, le nega freddamente questa possibilità, la minaccia di clava in testa e rottura di ossa se insisterà e infine dichiara con sadica soddisfazione tutto il suo disprezzo per le sue capacità artistiche.

Lei incassa e chiede scusa.

 

Stessa ambientazione nella scena finale.

Il ritmo è gioioso e saltellante, Pop Corn di Gershon Kingley.

 

C’è aria di festa, l’allenatore sorride.

Un tenero body rosa con tocchi di paillettes esalta le linee purissime del corpo della ragazza, un nastro rosa l’avvolge fluttuando lieve.

Sei il miglior allenatore del mondo”.

Corre da lui e lo abbraccia, la frase è di rito, il sorriso si spegne piano sul close up della mdp sul suo viso.

 

E dunque?

C’è bellezza? Si.

Amore? No.

Vuoto? Certo.

Bisogna dunque morire? No, questo mai! Basta saper imitare.

 

“E poi - sostiene Aristotele - c'è il piacere che tutti sentono delle cose imitate. E’ connaturato agli uomini, fin da fanciulli, l'istinto di imitare; in ciò si distingue l'uomo dagli altri animali, perché la sua natura è estremamente imitativa e si procura per imitazione i primi apprendimenti.”

(Aristotele, Poetica).

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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