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Alps

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su Alps

di OGM
8 stelle

L’ultimo film di Giorgos Lanthimos è vita ridotta a teatro del ricordo. È messinscena di ciò che non esiste più, ma può rinascere per finta,  riportando indietro le lancette. Fino a che la copia, logora e appannata, non finisce per stancare, e far dimenticare la perdita dell’originale. Quattro persone si dedicano, nel tempo libero, all’elaborazione del lutto altrui. Sono un’infermiera, un assistente sanitario, un’atleta ed il suo allenatore. Si fanno chiamare gruppo Alpi: il loro nome si riferisce a montagne insostituibili, ma che potrebbero sostituire tutte le altre. Ad esempio l’Ararat e o il McKinley. Il capo della squadra è Monte Bianco, dopo di lui vengono Monte Rosa e Matterhorn. Il loro compito è rimpiazzare i defunti, nelle loro case, in mezzo ai loro familiari. Si travestono e recitano un copione che è dettato dalle memorie dei sopravvissuti. Interpretano momenti lieti, istanti d’amore, ma anche parentesi cupe, di odio e tradimento. Basta che tutto sembri vero, identico a come è avvenuto, parola per parola, gesto per gesto. La citazione testuale è un passato redivivo, un’illusione di reversibilità che cancella la morte. La sua ripetibilità all’infinito è un’eternità a portata di mano, che si riproduce a pagamento. Quel servizio è un modo per fermare l’esistenza un passo prima del punto di non ritorno: il nastro si riavvolge e la figlia, il marito, la fidanzata sono di nuovo lì, uguali all’ultima volta. Intanto tutto si arresta, congelato nell’istrionica tristezza degli essere umani ridotti a burattini. Il movimento è una successione di pose preordinate, come in un numero di ginnastica artistica. La ritualità è una regola che esclude la scelta individuale e non ammette eccezioni. Ognuno deve agire secondo gli ordini di chi dirige le danze e lasciarsi trascinare nell’inganno senza parteciparvi emotivamente. Il compagno di ballo è quello imposto dalla missione assegnata, e le frasi da dire sono scritte da altri. Il padre di Monte Rosa, che è fuori dal gioco, passa le sue serate volteggiando sulla pista con la donna che ama, e verso cui nutre anche una tenera passione carnale. Sua moglie è morta, ma non ha bisogno di un manichino che ne faccia le veci. La normalità vuole che si volti pagina e che ci si reinventi ogni cosa daccapo, seguendo l’istinto e le occasioni offerte dal destino.  Monte Rosa vorrebbe fare altrettanto, usando l’immedesimazione nelle tragedie altrui come porta di accesso a nuove emozioni. Decide sponte sua, di nascosto, e fuori dall’orario di lavoro,  di diventare un’altra, per entrare in una realtà diversa, dove ci sono sensazioni autentiche da provare. Indossa l’avatar di una ragazza defunta e si immerge nella sua storia, lungo un solco già tracciato di sentimenti, legami affettivi, gusti ed abitudini. Anche avere un attore preferito o una polsiera portafortuna può aiutare a sentirsi qualcuno. Si prende in prestito l’identità di un’estranea, perché questo è comunque un punto di partenza per cominciare a uscire dall’anonimato.  Il prestito si trasforma ben presto in un furto, ma è una colpa commessa a fin di bene: ci si impadronisce di un respiro spento, per riaccenderlo e trarne nutrimento per la propria anima. L’aria è viziata, ma può rigenerarsi. I ruoli si sovvertono, magari andando persino contro natura, ma questo è un modo per sfidare l’ovvietà e non darsi per vinti. Un ritmo che non ci è congeniale potrebbe diventare nostro, ed il cuore prendere a battere all’unisono con ciò che credevamo  contrario alla nostra tonalità di base. In Alps, il luogo metafisico in cui si svolge il pirandelliano esercizio dell’uno, nessuno, centomila è la palestra nella quale si impara a vivere. Il Così è, se vi pare è il paradosso che insegna a superare i limiti preconcetti. A scrivere si apprende ricalcando le lettere. E la prima sbavatura segna il principio di quella che sarà la nostra grafia, la nostra inconfondibile impronta personale. Perché sbagliare ridona la libertà.

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