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Paradiso amaro

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Paradiso amaro

di Kurtisonic
6 stelle

Al regista A.Payne interessa la quotidianità e la gestione di un evento che ne spezzi le consuetudini. I personaggi dei suoi film sono prima di tutto gente comune, anche se in Paradiso amaro si avvale esteriormente di un protagonista appartenente ad una classe sociale elevata e privo di preoccupazioni materiali. Eppure Matt, interpretato da George Clooney, incarna quella tranquilla indifferenza per il mondo e  verso chi gli sta intorno, sicuro e al riparo dalle tempeste che la vita scatena. La sua normale ordinarietà viene scossa dalla prematura scomparsa della moglie lasciandolo con due figlie con le quali non ha saputo mai costruire un buon rapporto. Payne gioca a moltiplicare l'evento, ancora imprevisto ma altrettanto devastante, insieme alla comunicazione medica che stabilisce la necessità di non prolungare le inutili cure alla donna, per rispetto della sua stessa volontà testamentaria, Matt apprende che la moglie lo tradiva da tempo e si apprestava a chiedergli il divorzio. Il pericolo di cadere nelle trappole melodrammatiche e nella spirale psicanalitica del protagonista che sbatte il naso contro la realtà è elevato, ma il regista accetta la sfida. Il ruolo di Matt che sarà teso a comporre un rapporto autentico con sè stesso e con le figlie viene gestito da una sceneggiatura solida e non troppo conforme al "personaggio" Clooney, che a sua volta si mette pienamente al servizio del film senza ricercare spazi autocelebrativi. La cifra stilistica di Payne è sempre definita, non concede nulla alle immagini, assenza di soluzioni visive particolari, senza picchi estetici che vadano ad intaccare nè dolorose afflizioni delle psicologie e dei sentimenti, nè che possano compensare momenti più vuoti e rallentati. L'angolo di paradiso hawayano che Matt dovrebbe vendere per dividerne il ricavato con i suoi cugini, resta sullo sfondo, con la sua sfolgorante bellezza da cartolina, personaggi e spettatori lo guarderanno sempre da lontano, in attesa che si trasformi in un vero e proprio luogo dell'anima. I dialoghi fondamentali vengono occultati nel fuori campo, la transizione emotiva dei personaggi avviene con gli sguardi più che con le parole, con la semplicità dolorosa dei gesti che con sensazionalistici colpi di scena. Magari alla fine, la lacrimuccia si spende, ma lo spettatore resta tale, ancorato al suo privilegiato punto di osservazione dal quale poter vedere e talvolta imparare. Un risultato non da poco.

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