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Paradiso amaro

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Paradiso amaro

di michemar
8 stelle

“I miei amici della terraferma pensano che, solo perché io abito alle Hawaii, io viva in paradiso, eternamente in vacanza. Siamo tutti qui a bere Mai Tais, ancheggiando cogliendo le onde. Sono pazzi? Pensano che siamo immuni alla vita? Come possono pensare che le nostre famiglie non abbiano problemi o tumori meno letali, o la nostra angoscia meno dolorosa? Diavolo, non tocco un surf da quindici anni!  Negli ultimi 23 giorni ho vissuto in un paradiso di flebo, cateteri e tubi endotracheali. Paradiso! Il paradiso può andare a farsi fottere!”


Tralasciando il discorso della scemenza della traduzione del titolo in italiano, l’ultima fatica di Alexander Payne, THE DESCENDANTS = GLI EREDI,  ci mostra continuamente il volto attonito di uno straniato George Clooney che guarda i suoi interlocutori o il vuoto con occhi fissi, perché mentre parla ripensa senza pausa a quello che piano piano riesce a scoprire di una moglie che lui non ha mai capito, conosciuto, immaginato. Una donna che scopre un po’ diversa dalla compagna che viveva a casa con lui e le loro figlie. Tutto ciò a causa delle indiscrezioni ricevute da amici proprio quando questa è in ospedale in coma dopo un incidente in mare. La relazione rovinata fra i due si ripercuote parecchio e negativamente sulle due ragazze, causando inizialmente soprattutto sulla più grande comportamenti scorretti, frasi volgari, uso di alcol e forse sostanze pericolose. Poi, con lo svolgersi della storia, Alexandra si avvicina al padre sempre più, riuscendo a compattare la famiglia.
Sostanzialmente la trama si sviluppa tra una enorme eredità terriera alle Hawaii ricevuta dal protagonista Matt King e dai suoi cugini, e dalle conseguenti trattative per venderla, ed il tradimento compiuto dalla moglie Elizabeth nei mesi precedenti all’incidente con un agente immobiliare. Tutti i personaggi ruotano attorno al suo corpo praticamente inanimato, lei è al centro della storia anche se non vi partecipa attivamente: il suo determinante contributo lo ha già dato e tutto sta per questo avvenendo. Si assiste a scene e location che cambiano continuamente perché questi americani-hawaiani si spostano fra un’isola e l’altra con l’aereo con una facilità da noi impensabile, ma tutto ritorna a quella stanza di ospedale.
Alexander Payne ricrea quasi la stessa ambientazione di SIDEWAYS, con i colori esaltati dalla natura, i viaggi, i dialoghi tra il drammatico e la commedia, i personaggi che sembrano sempre in vacanza. Addirittura Matt (George Clooney) è sempre in bermuda e a volte perfino scalzo, come altri abitanti di quella terra e sembra di rivedere Paul Giamatti in giro per vigneti. Lì il colore giallo-marrone delle foglie delle viti, qui il verde del mare e della folta vegetazione dell’estate tropicale. Da qui l’idea balorda di intitolare il film prendendo lo spunto dalle isole Hawaii come paradiso naturale.
George dà tutto se stesso ma non credo sia la migliore interpretazione fra i nominati all’Oscar; l’impegno è notevole e a volte fa sorridere, a volte si rende odioso e con quel ciuffettino sulla fronte, mi fa venire in mente il fuggitivo di FRATELLO, DOVE SEI? o il bislacco soldato di L’UOMO CHE FISSE LE CAPRE. La sua vita è discretamente monotona, dedicata solo al lavoro di avvocato e a risparmiare soldi, fino ad essere accusato di tirchieria.
Ma tutte le figure più importanti sono ben disegnate ed evidenziate nel loro carattere. Bello il percorso della figlia maggiore che da ribelle e nemica del padre (poi si scopre che il suo comportamento era dovuto a precise ragioni e a reazione della situazione familiare) pian piano gli si avvicina fino a dimostrare perfino affetto per il papà. Notevole il personaggio del suocero interpretato dal bravo Robert Forster (ricordate il detective di Jackie Brown?), un tipastro duro e scorbutico segnato dalla guerra in Corea che incolpa il genero per l’incidente di sua figlia. Anche di quest’ultima lo spettatore riesce a afferrare il personaggio, nonostante sia in un letto in coma irreversibile e non dica una parola e non muova un muscolo, chiaro merito della sceneggiatura e del regista.
Mesto il finale con un rituale funerale tipicamente hawaiano.
Insomma un bel film, ma lontano da meriti losangeliani.

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