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War Horse

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su War Horse

di mc 5
10 stelle

Ancora non si era spenta l'emozione che mi aveva pervaso procurandomi una sorta di estasi cinefila in seguito alla visione di "Hugo Cabret" che, grazie ad una congiuntura tanto più gradita perchè da me inaspettata, il miracolo si ripete dopo pochissimi giorni con questo splendido "War horse". E la sola conclusione che se ne può trarre è che si tratta della conferma di ciò che molti di noi già sapevano: i due Grandi Maestri del Cinema Contemporaneo restano ancora e sempre loro, Martin e Steven, i più grandi raccontatori di Favole, i due fedeli alleati di chi sceglie la sala buia per sognare ad occhi aperti. Duole dirlo, ma la "festa" è guastata parzialmente dalla accoglienza diversificata che le due pellicole hanno incassato. Sul capolavoro di Scorsese non esistono dubbi, il coro elogiativo della critica si è rivelato compatto, ma anche da parte del pubblico è stato un plebiscito d'affetto. Ecco, io ho cercato di capire perchè invece "War horse " ha sollevato tanti dubbi e riserve tra i nostri critici. Sto leggendo proprio ora i dati relativi agli incassi e non posso che sentirmi amareggiato in quanto fatico a concepire che un film diretto da Spielberg acceda al box office collocandosi solo alla quinta posizione, e con la ragionevole previsione che molto difficilmente salirà in classifica. Ma al di là della reazione del pubblico (che è comunque buona, per quanto inferiore alle previsioni), ciò che mi ha sommamente amareggiato è stato riscontrare un ostracismo diffuso da parte di una grossa fetta (probabilmente la maggioranza) della critica cinematografica nazionale. Non ho ancora perso il lume della ragione e dunque ben venga chi critica, anche pesantemente, l'opera, e perfino coloro che vi scorgono qualche scelta "furba" del Maestro Spielberg. Quello che mi ha indotto al malumore è stato cogliere critici di cui mi sono sempre fidato così ferocemente predisposti a scoprire gli altarini di un regista ipocrita che cercherebbe consenso attraverso il meccanismo della lacrima facile, sfoggiando un' intransigenza degna di miglior causa. Gli amici di "Film Tv", per esempio, (con la sola eccezione di Giona Nazzaro), hanno pressochè stroncato la pellicola. E anche l'ottimo Federico Pontiggia del "Fatto Quotidiano" non ha fatto che ironizzare e ammiccare ("noia al galoppo"? ma per favore!!). Chiedo scusa a chi mi sta leggendo per l'infinita lunghezza della presente riflessione, ma stavolta proprio non potevo soprassedere. Premesso che siamo di fronte ad uno di quei capolavori che sono già in lista per entrare nella Storia del Cinema, diciamo subito che si tratta di un'epopea affascinante tra il romanzo di formazione e il racconto di un legame d'Amicizia Suprema tra un ragazzo di campagna e il suo animale meraviglioso; un cavallo che rappresenta un ideale di Libertà e Purezza, ma soprattutto si trasforma in un clamoroso e sublime atto di condanna verso l'orrore della guerra e la stupidità degli uomini che paiono esercitare la sopraffazione come un diritto. Il film si apre con una carrellata mozzafiato sulla campagna inglese, con distese verdi a perdita d'occhio che sfidano i limiti dello sguardo dell'essere umano e nel contempo esaltano un'idea superiore di Pace e di Bellezza. Siamo alla vigilia del primo conflitto mondiale e una modesta famiglia contadina del Devon accoglie l'ingresso di uno stupendo purosangue che verrà chiamato Joey. Tra il cavallo e il suo giovanissimo padroncino Albert nascerà un vincolo profondo che va oltre l'Amicizia, quasi un patto di sangue che sopravviverà a qualsiasi evento negativo, dalla guerra alla cattiveria degli uomini. Indimenticabile la rappresentazione dei componenti di quell'umile nucleo famigliare, dove il padre e la madre di Albert hanno le sembianze di Emily Watson e di un clamoroso Peter Mullan, quest'ultimo da applausi a scena aperta. Anche nel paesino del Devon risuonano i rintocchi delle campane che annunciano l'inizio del conflitto che segnerà fatalmente la separazione tra Albert e il suo Joey. Ma il loro legame è troppo forte e, dopo un'infinita serie di vicissitudini, nell'emozionante finale le strade dei due protagonisti torneranno ad incrociarsi, proprio mentre i rintocchi delle campane scandiscono la fine della guerra. Durante gli anni del conflitto, che vedono Albert arruolato nell'esercito e destinato ad uscire da quell'orrore fisicamente assai provato ma comunque vivo, il fiero cavallo Joey passa di mano tra varie situazioni e tra diversi padroni. Prima viene affidato ad un valente ufficiale inglese di cavalleria, a cui subentrano due giovani fratelli tedeschi e successivamente una tenera adolescente francese che vive in compagnia dell'amatissimo nonno, per poi finire nelle mani di un sadico ufficiale germanico. Ma è proprio a questo punto, quando tutto sembra perduto, che Joey viene scosso da un incontenibile soprassalto di furore. E allora inizia per lui un galoppo furibondo che travolge letteralmente qualsiasi ostacolo, una corsa inaudita verso la Libertà, che però si concluderà con Joey che stramazza al suolo lacerato e piegato dal dolore per il filo spinato che ne avvolge il corpo, fiero ma sfiancato. Ed è in questo momento, quando quello splendido animale pare destinato a soccombere, che avviene uno di quei miracoli che accadono solo nelle favole. Succede che quella quota di umanità che alberga sempre nei cuori di chi combatte una guerra che gli è stata imposta e in cui non crede, emerge con prepotenza e fa sì che due soldati dei due fronti opposti sfidano ogni logica bellica e, superando perfino l'istinto d'odio per il nemico, si trovano fianco a fianco, cesoie alla mano, animati solo dal desiderio di liberare quel cavallo e salvarne la vita. Credetemi, si tratta di uno dei momenti di cinema più alti cui io abbia mai assistito, qualcosa che smuove la commozione e fa riflettere sulla condizione dell'essere umano. E in un finale di rara suggestione emotiva assistiamo al felice ricongiungersi tra un Albert acciaccato ma sopravvissuto e il suo splendido e coraggioso Joey, sullo sfondo martoriato di un ospedale da campo. Io vorrei qui affermare un pensiero: ogni singola inquadratura di questo film non è mai sprecata, ogni fotogramma possiede un suo valore, una sua spettacolarità, una sua potenza emozionale. Si parte infatti da quegli squarci ariosi che si aprono sulla campagna inglese comunicando pace e serenità e si conclude con la famiglia originaria che si stringe finalmente in un forte abbraccio sullo sfondo di un tramonto infuocato di inesprimibile bellezza, sotto lo sguardo placido ed elegante del nostro purosangue. Le sequenze memorabili si susseguono senza sosta in un film che è tutto da ricordare. Le scene di guerra sono dirette magistralmente e non possono non richiamare alla mente, nella loro terribile e disperata magnificenza, quelle iniziali di "Salvate il soldato Ryan". Poi c'è una carica della cavalleria inglese che irrompe in un accampamento tedesco con esiti drammatici, che è qualcosa di strabiliante nella sua furia epica. Ma credo di poter dire che le due sequenze più significative sono quelle, già sopra richiamate, della devastante fuga di Joey verso la Libertà e naturalmente il clamoroso faccia a faccia di due soldati di fazioni opposte che escono dalle rispettive trincee sfidando il fuoco nemico, uniti dal proposito condiviso di liberare il povero Joey dal filo spinato, e probabilmente sfiniti da una guerra per la quale essi sanno di rappresentare solo carne da cannone. Un gesto, il loro, che non richiama nemmeno l'ombra della retorica. Solo Umanità. Umanità e basta. Se ci dovessimo soffermare su ogni componente di un simile grandioso cast, sarebbe impresa troppo lunga e faticosa, per cui mi limiterò ad una rapida rassegna. Jeremy Irvin impersona Albert con ineguagliabile bravura, rendendo con misura un personaggio che avrebbe potuto seriamente rischiare una deriva da retorica disneyana. Emiliy Watson è una madre che trasuda dignità e coraggio. Peter Mullan è il padre, qui in un ruolo che -a mio modesto avviso- reclama prepotentemente un oscar: una prova sublime, la sua, per la quale non ci sono parole. Eccezionale anche la performance del canuto Niels Arestrup, che già ci aveva deliziato nell'indimenticabile ruolo del malavitoso carcerato nel "Profeta". Cameo finale per Eddie Marsan nei panni di un burbero sergente inglese. E infine segnalazione sacrosanta per l'astro nascente Benedict Cumberbatch, strepitosamente autorevole nel ruolo di un ufficiale inglese di cavalleria, e che avevamo appena ammirato tra gli interpreti de "La talpa". Su questo film la critica ci ha raccontato troppe inesattezze (falsità?)...per esempio che le musiche -puntuali e perfette- del veterano John Williams sono invasive: non è affatto vero. Ma il falso più evidente, e che a mio avviso travalica i confini legittimi dell'espressione dei gusti personali, è quello di chi ha voluto raccontare questo film come un polpettone buonista, costruito su un'impronta da retorica strappalacrime. Il punto, col cinema spielberghiano, è sempre il solito, che peraltro i critici paludati conoscono benissimo. Cioè che ogni volta il suo cinema implica (e richiede) un abbandono quasi infantile da parte dello spettatore, e solo chi si ostina ad uno sguardo cinico da adulto alla fine evocherà  melassa e buoni sentimenti preconfezionati. Perchè una cosa dev'essere chiara. In quest'ottica di cinema che è sogno ad occhi aperti, da Indiana Jones fino a E.T. passando per il cavallo Joey, Spielberg resta a tutt'oggi il più grande narratore contemporaneo per immagini.
Voto: 10

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